giovedì 23 febbraio 2012

“Morte nell’arena” di Federica Guidi


In principio, nel III secolo a.C., si chiamarono munera, cioè obblighi verso i defunti. Poi il nome rimase, ma via via i combattimenti gladiatorii persero il carattere di cerimonia funebre e acquisirono quello di festività offerte da personalità politiche e dall'imperatore per procurarsi consenso, secondo la nota espressione di Giovenale: panem et circenses. Una tradizione che durò oltre sette secoli nel segno dell'intrattenimento grandioso, esotico, violento e globale. Vero e proprio spettacolo interattivo cui il pubblico partecipava non solo con le incitazioni ai contendenti, ma anche decidendo il destino dei vinti. In questo libro l'autrice descrive la scena e i retroscena di un costume che ha attraversato i secoli.
(Source: IBS)



E’ vero il tema trattato non è nuovo, molto si è scritto sull’argomento e numerosi sono i film ed i documentari in merito.  Le descrizioni del libro però sono molto accurate ed il risultato è un saggio molto piacevole e di scorrevole lettura. Certo che in 2.000 anni quanto poco è cambiato!!!

"Che dire poi del fascino che i gladiatori esercitavano sul gentil sesso? Più che alle specifiche di combattimento, le signore erano ovviamente interessate alla prestanza fisica dei combattenti; ma non è solo questo: il fascino del gladiatore nasce proprio dal suo essere tale, dal ruolo che questa figura riveste nell’arena, dalla sua lotta con la morte e dall’immaginario che da questo si sviluppa. A riprova ascoltiamo Giovenale:
Eppia, moglie di un senatore, ha seguito una compagnia di gladiatori fino a Faro, fino al Nilo e alle mura malfamate dei Lagidi, facendo inorridire persino Canopo per l’incredibile immoralità romana. Dimenticati a casa, marito e sorella, senza un pensiero per la sua città, quella depravata ha abbandonato i figli in lacrime e, ciò che più stupisce, persino il suo Paride e il Circo. Pur allevata tra le piume di una culla intarsiata e nel lusso della casa paterna, non ebbe orrore d’affrontare il mare: aveva già affrontato il disonore, che per chi dispone di comode poltrone è danno rilevante. Navigando di mare in mare, ha attraversato i flutti del Tirreno e la distesa fragorosa dello Ionio con cuore intrepido: son donne, queste, che solo se devono correre un rischio per una causa onorevole e giusta cadono in preda alla paura con il cuore che si fa ghiaccio, le gambe tremanti; ma se compiono malefatte, ostentano un coraggio senza pari. Se vuole il marito, è un dramma salire sulla tolda: l’odore della stiva le sconvolge e svengono. Ma quella che segue l’amante ha stomaco di ferro. La prima vomita addosso al marito, questa mangia coi marinai, scorrazza per il ponte e gode nel maneggiare ruvide gomene. Ma di quale bellezza, di qual fiore di giovinezza si è invaghita Eppia? Cosa ha mai visto in lui per sopportare la nomea di “gladiatrice”?
In verità il suo Sergino ormai aveva cominciato a radersi la barba e sperare nel congedo per quel suo braccio rotto; senza contare gli sfregi del viso, il naso escoriato dall’elmo con una gran bozza nel mezzo, e uno sgradevole malanno che gli faceva lacrimare di continuo gli occhi. Ma un gladiatore era! Quanto basta per farne un Giacinto, per preferirlo a figli, patria, sorella e marito: è il ferro che amano le donne. Se il suo Sergio avesse già ricevuto il bastone del congedo, all’istante non le sarebbe apparso diverso da un qualsiasi Veientone. (Giovenale, Satira VI, 82-113)" 
 
(Ed. Mondadori - 2006 Cles TN)
Ma siamo sicure che tutte le donne fossero interessate solo alla “prestanza fisica” dei gladiatori? Nessun reale interesse per il combattimento? Quando oggi guardiamo una partita di calcio, siamo proprio tutte interessate solo  ai tipi che corrono dietro alla palla? Io non credo proprio...



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