domenica 9 febbraio 2014

“Gli ultimi giorni di P.B. Shelley” di Guido Biagi

GLI ULTIMI GIORNI
DI P.B. SHELLEY
di Guido Biagi
LA VITA FELICE
“Spirito di titano, entro virginee forme” così il Carducci definì Percy Bysshe Shelley, ma del celebre poeta inglese abbiamo innumerevoli definizioni “un uomo impazzito, un uomo distrutto” per De Quincey, “un angelo mancato che batte le luminose ali nel vuoto” per Arnold, “cieco per ideali al calor bianco” per Browning mentre per la moglie Mary Shelley semplicemente “non uno di noi”.

Percy Bysshe Shelley era un sognatore, un uomo che si autodefiniva ateo e che metteva al centro del suo universo l’uomo e il suo piacere. 
Shelley era un uomo che bramava la libertà per il genere umano e proprio al raggiungimento di questa piena e totale libertà di pensiero e di sentimenti dedicò tutta la sua esistenza.
Egli era un idealista e un anticonformista che visse seguendo i suoi ideali di libertà in ogni sua forma anche in campo sentimentale e sessuale.
Poeta dalla formazione classica, proprio dalla sua passione per lo studio dei classici greci e latini sviluppò il suo amore per la mitologia.

Guido Biagi in “Gli ultimi giorni di P.B Shelley” cerca di fare chiarezza, analizzando i documenti dell’epoca raccolti negli archivi di Firenze, Lucca e Livorno, sul naufragio nel quale il poeta perse la vita il giorno 8 luglio del 1822.

L’ultima residenza di Shelley fu Villa Magni a San Terenzo, nel comune di Lerici (La Spezia), una villa con l’accesso diretto sulla spiaggia. 
Durante il soggiorno in Liguria Shelley si fece costruire nei cantieri di Genova una goletta. L’imbarcazione in un primo momento doveva essere battezzata con il nome di “Don Juan” in onore di Byron ma in seguito, essendo sorte alcune divergenze con quest’ultimo, Shelley decise di cambiarle nome in “Ariel”.
Durante il viaggio di ritorno da Livorno, a causa di una violenta tempesta e delle condizioni proibitive del mare, la Ariel affondò senza neppure rovesciarsi. Il corpo di Shelley fu ritrovato dopo 10 giorni sulla spiaggia di Viareggio.
Qui secondo le leggi dell’epoca venne sepolto sulla spiaggia e solo dopo svariate richieste fu possibile disseppellirlo e cremarlo sulla medesima spiaggia.
Il funerale di P.B. Shelley
(dipinto di Louis Édouard Fournier)
Tra i presenti alla cerimonia l’amico Trelawny e Lord Byron. Assente Mary Shelley che, in quanto vedova del defunto secondo le regole vigenti in Inghilterra, non poteva presenziare alle esequie del marito.
Guido Biagi oltre a riportare parte dei documenti scovati negli archivi, riporta anche quanto appreso in prima persona dai suoi interrogatori effettuati agli anziani ancora in vita che avevano assistito al funerale sulla spiaggia e al recupero del relitto.
Ci riporta inoltre numerosi dettagli su come la moglie venne a conoscenza della disgrazia e non ultimo cerca di dirimere la questione del cuore incombusto del poeta.
Si narra infatti che il cuore di Shelley fosse stato estratto intatto dal rogo e dopo essere stato ridotto in cenere fosse stato posto in un sacchettino di seta e consegnato da Hunt a Mary Shelley che lo conservò fino alla propria morte in un cassetto della scrivania del defunto marito insieme ad una copia del poema Adonais, poema che P.B. Shelley scrisse in onore di John Keats.
I resti di P.B. Shelley, ad eccezione probabilmente del teschio, della mandibola e di qualche frammento osseo che si ritiene siano stati accolti nella piccola chiesa di Boscombe a Bournemouth, furono inumati a Roma nel cimitero acattolico, quello stesso cimitero che aveva già accolto i resti dell’amico John Keats.

Diverse furono le ipotesi relative al naufragio: qualcuno parlò di suicidio, qualcuno ipotizzò pure un attacco da parte di pirati.
Certo è che come ricorda Giulio Cesare Maggi nella postfazione del libro “erano tempi calamitosi nel Regno Unito per chi fosse portatore di messaggi libertari e progressisti, e questo rischio lo correva anche Shelley, le cui opinioni erano esse pure avversate, perchè ritenute rivoluzionarie” pertanto oggi non possiamo totalmente escludere che qualcuno lo avesse speronato volontariamente per eliminarlo magari su commissione di oppositori politici, così come non possiamo ignorare che qualcuno potesse ritenere che a bordo ci fosse magari Lord Byron e che proprio questi fosse il vero bersaglio.
L’ipotesi più attendibile resta comunque quella del naufragio dovuto alle avverse condizioni del mare, ma se l’Ariel sia affondata da sola o sia stata speronata da un’altra imbarcazione, resterà sempre un mistero.

L'epigrafe sulla lapide, su desiderio di Mary Shelley,  riporta l’indicazione 
COR CORDIUM 
seguita dalle date di nascita e di morte, e più sotto alcuni versi del canto di Ariel dalla "Tempesta" di Shakespeare:
"Nothing of him that doth fade, but doth suffer a sea change, into something rich and strange"
(Niente di lui si dissolve ma subisce una metamorfosi marina per divenire qualcosa di ricco e strano)

                                                                                                                                              

1 commento:

  1. la luce delle notti di luna veglia lo spirito della tua grande poesia

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