martedì 9 settembre 2014

“Le due vie del destino” di Eric Lomax

LE DUE VIE DEL DESTINO
di Eric Lomax
VALLARDI
“Le due vie del destino” (titolo originale “The railway man”) è un romanzo autobiografico.

Fin da piccolo Eric Lomax ebbe una grande passione per le ferrovie e le locomotive.
Lasciò la scuola molto giovane perché non particolarmente motivato dalle materie che venivano insegnate ritenute troppo lontane dai suoi veri interessi.
Entrò all’età di sedici anni, dopo regolare concorso, a lavorare in posta partendo dalla gavetta.
Con lo scoppio della seconda Guerra Mondiale venne arruolato nei Corpi Reali dei Trasmettitori e, dopo diverse assegnazioni, venne inviato in missione in India e da qui in Malesia.
Il romanzo è il racconto dei suoi anni di prigionia in mano ai giapponesi.
Per un triste scherzo del destino, lui così appassionato di treni, venne proprio impiegato dai suoi carcerieri nella costruzione della ferrovia della morte tra Birmania e Siam insieme a migliaia di altri prigionieri.

Avevano intenzione di costruire una linea ferroviaria attraverso le aguzze catene montuose tra Birmania e Thailandia, un percorso così terribile che gli ingegneri coloniali britannici l’avevano rifiutato perché troppo pericoloso.

Quando i giapponesi scoprirono che Lomax e i suoi compagni erano riusciti a costruirsi una radio, seppur rudimentale, con la quale erano però in grado di ascoltare le trasmissioni delle forze alleate e della BBC, la loro situazione peggiorò.
In particolare la situazione di Eric Lomax si aggravò terribilmente nel momento in cui il Kempeitai, la famigerata polizia segreta giapponese, quella che potrebbe essere definita la Gestapo nipponica, scoprì che egli aveva disegnato una mappa del tracciato della ferrovia.
Le torture fisiche e psicologiche subite dai prigionieri furono terribili e quando Lomax riuscì a tornare in patria al termine del conflitto, non solo trovò un mondo completamente diverso e a lui estraneo, ma dovette combattere contro difficoltà e disagi per cercare riprendere in mano, almeno parzialmente, la propria vita.
Fu solo grazie all’amore di una donna straordinaria, la sua seconda moglie, incontrata guarda caso proprio in una stazione, una donna canadese di 17 anni più giovane di lui e all’aiuto fornitogli dalla Fondazione Medica per la Cura delle Vittime della Tortura, che Eric Lomax riuscì ad affrontare il suo passato e trovare persino il coraggio di incontrare personalmente il nemico, nella figura di Nagase Takashi, l’interprete che aveva preso parte alle torture inflittegli durante gli interrogatori del Kempeitai.

“Le due vie del destino” racconta una storia complessa, emozionante e inquietante; una storia terribilmente vera in tutta la sua tragicità e la sua crudeltà; racconta di come un uomo semplice e tranquillo sia stato costretto con ogni mezzo a trovare in se stesso una forza incredibile ed un coraggio straordinario per cercare di sopravvivere all’orrore nel quale la vita lo aveva scaraventato.
                                                                                                                            
A tutti noi è capitato di leggere romanzi ambientati durante il secondo conflitto mondiale o vedere film sull’argomento, potrei ad esempio citare il famoso film del 1957 diretto da David Lean intitolato “Il ponte sul fiume Kwai”, ma si rimane sempre nella finzione storica, spesso falsata e che ci fornisce una versione edulcorata dei fatti.
E’ ben diverso leggere le parole scritte da chi certe esperienze le ha vissute sulla propria pelle; ha dovuto convivere con la paura, la tensione, le torture; è stato costretto a subire una violenza psicologica spesso peggiore anche di quella fisica.

Ho scritto dell’insicurezza che divora la mente di un prigioniero e riempie i giorni di angosciosa tensione – l’unica cosa sicura era che ci trovavamo sull’orlo del precipizio.

E’ quasi impossibile riuscire a concepire che uomini come Lomax siano riusciti ad uscire vivi da un’esperienza di reclusione così estrema e devastante.

(…) avere qualche brandello di informazione serviva a tenerci su di morale e a farci sentire in contatto col mondo che avevamo perduto. Per noi prigionieri la radio aveva un’importanza difficile da immaginare, donava letteralmente senso e normalità alle nostre vite; ci sembrava, ora, di avere una ragione per vivere.

E’ spaventoso leggere di come questi prigionieri siano stati spogliati di ogni cosa, sfruttati e umiliati, ma soprattutto di come siano stati privati della loro dignità di esseri umani.

Anche leggere era una parte importante di quella normalità, un modo per conservare la dignità.

Tutti i torturatori furono condannati, solo uno di questi si salvò. Lomax lo cercò per tutta la vita, pur non avendo alcun nome, ma solo una voce.
La vendetta fu l’obiettivo a cui si aggrappò per trovare la forza di andare avanti.

Alla fine scoprì però che il suo carnefice, colui sul quale aveva concentrato tutto il suo odio, era stato egli stesso una vittima di quell’assurda guerra.
Nagase aveva vissuto anch’egli una vita fatta di incubi, schiacciato dal peso di ciò a cui era stato costretto ad assistere quando era un interprete del Kempeitai.

Lomax ebbe bisogno di vedere il dolore di Nagase per riuscire a convivere con il proprio e a superarlo.
Nagase a sua volta, nonostante avesse passato il resto della sua vita cercando di rimediare agli errori commessi, dedicandosi al ricordo di quanti erano morti per la costruzione della ferrovia, ebbe bisogno del perdono di Lomax per riuscire ad accettare almeno in parte le proprie colpe e cercare di convivere con esse.   

Bellissime le ultime pagine del libro, davvero intense e cariche di tensione emotiva.

Nei prossimi giorni uscirà al cinema il film tratto dal romanzo; a Colin Firth è stato affidato il ruolo di Eric Lomax (Jeremy Irvine interpreterà Lomax da giovane) mentre nel ruolo della seconda moglie di Lomax, Patricia, vedremo Nicole Kidman.
Sono piuttosto curiosa di scoprire come sarà questo adattamento cinematografico.
Indubbiamente Colin Firth, da ottimo attore qual è, sarà senza dubbio un interprete perfetto, sono solo un po’ scettica sul taglio che potrebbe essere stato dato alla storia perché, da quel poco che ho intravisto del trailer, ho avuto l’impressione che siano state apportate modifiche non proprio apprezzabili al testo originale.

Comunque sia, che decidiate di andare o no a vedere il film, il mio consiglio è quello di leggere assolutamente il libro perché “Le due vie del destino” è davvero una testimonianza unica e splendidamente scritta; un romanzo toccante e coinvolgente. 



2 commenti:

  1. ciao molto interessante, non ho letto ne il libro enon ho visto il film, ma dalla tua recensione ho voglia di leggere il libro...
    Mi sono unita al tuo blog l'ho trovato molto interessante...

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Questo libro è stato per me una piacevole sorpresa.
      Grazie e benvenuta :)

      Elimina