venerdì 27 aprile 2012

Ode a Silvia (da “I due gentiluomini di Verona” di W. Shakespeare)


Vincent Van Gogh – Mandorlo in fiore

Qual luce è luce se Silvia io non vedo,
qual gioia è gioia se Silvia non mi è accanto,
a men di immaginarla a me accanto, nutrito del riflesso della perfezione.
Se la notte io non sono accanto a Silvia non ha più musica per me l’usignolo.
A men di contemplar Silvia di giorno,
non c’è più giorno per me da contemplare.
Non vivo più se lei -mia essenza-
mi toglie la benigna sua influenza che mi da vita,cibo,luce e affetto.
Non evito la morte ,se sfuggo a tal verdetto:
se qui’ mi attardo, corteggio certa morte,
ma dalla vita fuggo ,se fuggo dalla corte.




In uno dei miei film preferiti “Shakespeare in Love” (trailer), la protagonista femminile Viola De Lesseps (interpretata da Gwyneth Paltrow) partecipa, travestita da uomo, all'audizione per il ruolo di Romeo, recitando proprio questo sonetto.
Per un bellissimo video del film cliccare qui  




sabato 21 aprile 2012

“Romancing Miss Bronte” di Juliet Gael


Romancing Miss Brontë ci racconta la vita romanzata di Charlotte Brontë e della sua famiglia. Juliet Gael, mescolando sapientemente finzione e realtà storica, ci regala oltre che un’interessante biografia, un vero e proprio romanzo d’appendice piacevole ed avvincente.
Molto indovinata la scelta della casa editrice italiana Tea di mantenere il titolo originale dell’opera oltre alla suggestiva e romantica copertina.
Il sottotitolo dell’edizione italiana “Passioni, speranze, delusioni e amori di Charlotte Brontë in un romanzo che mescola perfettamente storia e invenzione” assolve pienamente il suo compito di catturare l’interesse del potenziale lettore, descrivendo perfettamente il carattere del romanzo.
Ritroviamo in esso tutte le tematiche tipiche dei romanzi dell’Ottocento: la difficile condizione della donna, l’amore non corrisposto e quello contrastato e sofferto, l’educazione impartita nei collegi e negli istituti di carità, i pregiudizi, i vincoli morali, i contrasti all’interno della chiesa anglicana, gli incontri con personaggi famosi quali Charles Dickens, Elizabeth Gaskell, William Makepeace Thackeray… In definitiva un libro irrinunciabile per tutti gli appassionati delle sorelle Brontë, degli scrittori loro contemporanei e del romanzo vittoriano in genere.

Charlotte Brontë
Ma l’intelligenza era una qualità inutile in una ragazza, e così aveva tenuto le sue speranze strettamente confinate nella sua immaginazione. Le teneva chiuse a chiave nelle sue scatoline, negli scrittoi e nei cassetti segreti, e guardava il fratello avventurarsi nel mondo per vivere i suoi sogni al posto suo.

Per un istante tornarono a essere la famiglia indissolubile della loro infanzia, quando, traumatizzati fin da molto piccoli dalla perdita della madre e dalla morte delle sorelle più grandi, trovarono rifugio dal dolore nella reciproca compagnia. E così erano cresciuti ripiegati su se stessi. I quattro fratelli, i gatti e le oche da compagnia, le domestiche che si affaccendavano per la cucina, il padre distante rinchiuso nel suo studio… e il mondo esterno nient’altro che un ricordo, o un sogno.

La verità era che il fratello le aveva abbandonate diversi anni prima. Era entrato a far parte del vasto mondo riservato al sesso forte: i club di pugilato, le associazioni letterarie e musicali e gli ordini massonici, le campagne politiche e le birrerie. Lui viaggiava a suo piacimento e godeva della massima libertà. Le sorelle si erano brevemente avventurate al di là della frontiera domestica, ma ora erano ritornate nei confini di casa, nel mondo privato della cucina e del salotto. Erano isolate.

E così erano cresciute, socialmente manchevoli, isolate ma convinte del proprio valore. Intellettualmente dotate, si ritiravano nel loro ristretto mondo dove a contare davvero erano soltanto i libri, i dipinti e la musica. In società non erano nulla, ma all’interno del loro universo mentale e nel conforto della loro famiglia, erano giganti, titani, geni.
 
Eppure Emily era molto soddisfatta della sorte toccatale. Sulla porta di casa aveva l’unica cosa che le interessasse  davvero: l’universo naturale della brughiera. I suoi bisogni materiali erano semplici ed era ignara delle limitazioni e delle frustrazioni che consumavano Charlotte.

Charlotte fissò tutti i presenti, incenerendoli con lo sguardo. “Forse, signori miei, confondete la virtù con la convenzione. La formalità non è moralità, come la rettitudine non è la religione”. 

giovedì 12 aprile 2012

"Il prigioniero del cielo" di Carlos Ruiz Zafón


Questo libro fa parte di un ciclo di romanzi che si intrecciano nell’universo letterario del Cimitero dei Libri Dimenticati. I romanzi che compongono questo ciclo sono legati attraverso personaggi e fili argomentativi che gettano tra loro ponti narrativi e tematici, sebbene ciascuno di essi offra una storia indipendente e chiusa in se stessa.Le varie puntate della serie del Cimitero dei Libri Dimenticati possono essere lette in qualunque ordine o separatamente, consentendo al lettore di esplorare il labirinto di storie accedendovi da diverse porte e differenti sentieri, i quali, una volta riannodati, lo condurranno nel cuore della narrazione.

Così recita l’introduzione de “Il prigioniero del cielo”, l’ultimo romanzo appartenente alla trilogia del Cimitero dei Libri Dimenticati.
Ad essere sincera non mi trovo molto d’accordo con il fatto che ogni libro sia indipendente e che quindi la lettura di questi possa essere affrontata in ordine “sparso”. Il personaggio di David Martin ed i riferimenti alla sua opera “La città dei maledetti” nonché i continui richiami a “L’ombra del vento” ed a “Il gioco dell’angelo”, rendono a mio avviso consigliabile aver letto i due romanzi precedenti.

Ritengo che “L’ombra del vento” sia il miglior libro che Zafón abbia scritto, mentre devo ammettere  di essere stata un po’ delusa da “Il gioco dell’Angelo”. “Il prigioniero del cielo”, anche se ovviamente non all'altezza del primo capitolo del Cimitero dei Libri Dimenticati, è comunque un buon romanzo intrigante ed enigmatico, dal finale sospeso ad effetto che lascia le porte aperte ad un altro possibile capitolo della storia o forse a quello conclusivo.

Ho ritrovato con piacere le bellissime descrizioni che solo Zafón è in grado di fare di una città tetra e misteriosa. Descrizioni che mi hanno spinto a visitare Barcellona qualche tempo fa alla ricerca dei luoghi vissuti da quei personaggi diventati ormai per me così familiari…

Ed ora qualche frase del libro accompagnata da alcune foto che ho scattato durante il mio “pellegrinaggio” nella città di uno dei miei autori contemporanei preferiti:


Le persone dall’animo piccino cercano sempre di rimpicciolire anche gli altri.



In questa vita si perdona tutto, tranne dire la verità.



Pazzo è chi si ritiene savio e crede che gli stupidi non siano della sua condizione.






Ci sono epoche e luoghi in cui essere nessuno è più onorevole di essere qualcuno.




Ho sempre pensato che chi ama appartenere ad un gregge deve avere qualcosa della pecora.





Il destino non fa visite a domicilio, ma bisogna andarlo a cercare.











Gli uomini sono così, come i gerani. Quando sembra che ormai si debbano buttare via, si ravvivano.

sabato 7 aprile 2012

Tracy Chevalier


Tracy Chevalier è nata a Washington nel 1962. Trasferitasi a Londra nel 1984, ha lavorato per diversi anni come editor, prima di dedicarsi a scrivere romanzi a tempo pieno. Il suo primo romanzo si intitola La Vergine Azzurra (1997), seguito poi da La ragazza con l’orecchino di perla (1999), libro che ha venduto nel mondo quasi 4 milioni di copie e dal quale è stato tratto l’omonimo film con Colin Firth e Scarlett Johansson. I romanzi successivi sono: Quando cadono gli angeli (2001), La dama e l’unicorno (2003), L’innocenza (2007), Strane creature (2009).
Ho letto per ora solo tre libri di questa autrice ma mi sono ripromessa di leggerli tutti perché sono rimasta positivamente colpita dalla sua bravura fin dalla prima lettura. Tracy Chevalier è in grado di fondere sapientemente nei suoi romanzi verità storica e finzione narrativa, riuscendo con abilità magistrale a far interagire personaggi di pura invenzione con personaggi realmente esistiti. Lo svolgersi delle varie vicende è sempre inserito accuratamente nel contesto storico-sociale dell’epoca in cui avviene, le descrizioni sono sempre suggestive e particolareggiate, i personaggi sempre ben delineati.

La ragazza con l’orecchino di perla, ambientato a Delft nel XVII secolo, narra la storia di Griet, giovane figlia di un decoratore di piastrelle privato del lavoro a causa di un incidente agli occhi, costretta ad andare a servizio nella casa del pittore Vermeer. Tra i due si instaura immediatamente una relazione fatta di sguardi, sospiri e frasi non dette. La giovane è invisa alla moglie dell’artista, gelosa del marito, ed è costretta a subite continui rimproveri dalla madre di quest’ultima. Griet però decide di sfidare per amore (un amore platonico, conturbante e crudele) le convenzioni dell’epoca e, dando prova di dedizione e straordinario coraggio femminile, arriva a posare per Vermeer nel celebre quadro conosciuto come “La fanciulla con il turbante”.

Lui teneva un orecchino sospeso per il gancetto. Riceveva la luce dalla finestra e la catturava in un piccolo quadratino di bianco splendente.
“Eccoti Griet”. Mi porgeva la perla.

Vermeer rappresentò nel quadro una giovane volta di tre quarti, con le labbra socchiuse e lo sguardo enigmatico. La modella indossava una giacca gialla ed un turbante azzurro, da cui scendeva una fascia intonata all’abito; portava all’orecchio una perla a goccia, dai riflessi opalescenti.

L’innocenza è ambientato nelle trafficate strade della Londra di fine Settecento ed in particolare in Hecules Buildings, ventidue case a schiera di mattoni con un giardino sul davanti ed un pub a ciascuna estremità della strada. In esso si narrano le vicende di Jem Kellaway, appena arrivato dalla campagna del Dorsetshire insieme alla famiglia, e della sua nuova amica Maggie Butterfield. Il personaggio storico con cui i ragazzi fanno presto conoscenza è William Blake poeta, incisore e pittore inglese, autore de “I canti dell’innocenza” e “I canti dell’esperienza” che, con le sue folgoranti e improvvise apparizioni, completa lo sfondo sul quale si muovono tutti personaggi.

Il signor Blake invece annuiva piano, come se avesse le idee chiarissime al riguardo, e non pensasse ad altro dalla mattina alla sera. “Hai ragione, ragazzo. Proviamo a fare un esempio. Qual è il contrario dell’innocenza?”
“E facile”, si intromise Maggie. “La malizia”.
“Giusto, mia cara ragazza, ovvero l’esperienza del mondo”. Maggie sorrise radiosa. “E dimmi un po’: tu sei innocente o smaliziata?”
(…) Accigliata, Maggie si voltò a guardare un passante e non rispose.
“Capisci? Non è facile rispondere a una domanda del genere. Ma mettiamola in un altro modo: se l’innocenza è al di là del fiume”, disse Blake indicando l’abbazia di Westminster, “e l’esperienza al di qua”, e qui fece un cenno verso l’anfiteatro Astley, “cosa c’è in mezzo?”
Maggie aprì la bocca ma non le venne in mente nulla.
“Pensateci, figlioli. Mi darete la risposta un’altra volta”.

La storia narrata in Strane creature è basata sulla storia vera di Mary Anning, una raccoglitrice di fossili per professione, che portò alla luce il primo scheletro completo di ittiosauro e che, con il suo lavoro, contribuì a fondamentali cambiamenti negli studi sull’evoluzione e nel pensiero scientifico riguardo alla storia della terra. 
La vicenda del romanzo è ambientata nel 1811 a Lyme un piccolo villaggio del Dorset. Protagoniste della vicenda sono le sorelle Philpot, la diciottenne Margaret e la venticinquenne Elizabeth, che appena giunte da Londra, sorprendono gli abitanti del villaggio per il loro aspetto elegante ma soprattutto per l’indipendenza, l’istruzione e la libertà che ostentano così apertamente in contrasto con il conformismo della tranquilla vita di provincia dell’epoca.
Stringono immediatamente amicizia con Mary Anning, una ragazzina vivace e sveglia, che trascorre le sue giornate sulla spiaggia alla ricerca di fossili. Mary insegna ad Elizabeth a riconoscere quelli che lei definisce i ninnoli e che ritiene essere ossa di enormi coccodrilli vissuti in un lontanissimo passato. La loro amicizia però sarà messa in crisi da un uomo, il colonnello Birch, un collezionista per cui entrambe le donne perdono la testa.
Tracy Chevalier attraverso la descrizione del rapporto tra Mary ed Elizabeth descrive una società ancora dominata dagli uomini e dove ogni novità è vista in modo negativo. Un mondo dove è necessario lottare per abbattere quelle convenzioni sociali e religiose che impediscono di aprire la strada alla conoscenza.

Lo disse con affetto, ma le sue parole mi punsero sul vivo. Sbagliava se pensava che lo facessi solo per i soldi. Naturalmente dovevo essere pagata, ma i fossili non erano solo un affare, erano la mia vita ormai, il mio mondo, uno strano modo di pietra. E forse tra migliaia di anni anche il mio corpo sarebbe diventato così. Forse un giorno qualcuno mi avrebbe trovata dentro la scogliera…Cosa ne avrebbero fatto di me?




sabato 31 marzo 2012

"Ultime lettere di Jacopo Ortis” di Ugo Foscolo


Ugo Foscolo (1778 - 1827)

L’idea del romanzo risale al 1796 e la pubblicazione della prima versione con il titolo “Laura, lettere” inizia nel 1798. Nel 1799 Foscolo sconfessa però questa prima stampa e la prima edizione completa vedrà la luce nel 1802, anch’essa in seguito lungamente rivista ed aggiornata nelle versioni successive del 1816 e del 1817.
Considerato il primo romanzo epistolare della letteratura italiana, l’opera ebbe come modelli la “Nuova Eloisa” di Rosseau e “I dolori del giovane Werther” di Goethe.
La vicenda trae origine da un fatto realmente accaduto (il suicidio di uno studente universitario, Girolamo Ortis) poi rielaborato sulla base delle esperienze biografiche del Foscolo: i suoi innamoramenti, le sue crisi politiche ed esistenziali, le peregrinazioni attraverso l’Italia contesa e tradita dagli stranieri.

Jacopo Ortis, un giovane intellettuale veneto, costretto dopo il trattato di Campoformio (1797) a fuggire da Venezia, scrive dall’esilio le sue dolorose vicende all’amico Lorenzo Alderani, l’immaginario “editore” delle sue lettere postume.
Jacopo si rifugia sui Colli Euganei dove conosce un altro esule, il signor T***, e si innamora, ricambiato, della figlia di quest’ultimo, Teresa.

L’ho veduta ,o Lorenzo, la Divina Fanciulla

Non sono felice! Mi disse Teresa; e con questa parola mi strappò il cuore.
(…) Non sono felice! Io aveva concepito tutto il terribile significato di queste parole, e gemeva dentro l’anima, veggendomi innanzi la vittima che doveva sacrificarsi a’ pregiudizi ed all’interesse.

La ragazza è però già promessa sposa ad Odoardo, un giovane onesto e ricco ma privo di ogni slancio emotivo.

Buono – esatto – paziente! E nient’altro? Possedesse queste doti con angelica perfezione, s’egli avrà cuore sempre così morto, e quella faccia magistrale non animata mai né dal sorriso dell’allegria, né dal dolce silenzio della pietà, sarà per me uno di que’ rosaj senza fiori che mi fanno temere le spine. Cos’è l’uomo se tu lo abbandoni alla sola ragione fredda, calcolatrice?

Odoardo sa di musica; giuoca bene a scacchi; mangia, legge, dorme, passeggia, e tutto con l’oriuolo alla mano.

C. D. Friedrich
 Un uomo e una donna che guardano la luna 
1824, Berlino, Nationalgalerie 
Quello tra Jacopo e Teresa è un amore lacerante, emotivamente irrazionale, intenso e romantico, ma nonostante il forte sentimento che li unisce, il loro è un amore impossibile.
Il padre di Teresa non può accettare quest’unione, nonostante stimi molto Jacopo e lo ritenga un ragazzo colto, intelligente, capace di grandi passioni, deve tener conto che l’esistenza di quest’ultimo è un’esistenza inerte fatta di dubbi sociali ed esistenziali.
Le persecuzioni della polizia austriaca e le pressioni continue del signor T*** costringono Jacopo a partire ed ad allontanarsi così dalla donna amata, unico conforto per la sua disperazione politica.
Ortis inizia a viaggiare senza meta per tutta l’Italia: Bologna, Firenze, Roma, Milano, Genova... ovunque vede la tragedia dell’oppressione straniera e non riesce a trovare alcuna consolazione.

(…) e il domani viene, ed eccomi di città in città, e mi pesa sempre più questo stato di esilio e di solitudine.

Così noi tutti Italiani siamo fuoriusciti e stranieri in Italia: e lontani appena dal nostro territoriuccio, né ingegno, né fama, né illibati costumi ci sono di scudo: e guai se t’attenti di mostrare un dramma di sublime coraggio! (…) Spogliati dagli uni, scherniti dagli altri, traditi sempre da tutti, abbandonati da’ nostri medesimi concittadini, i quali anziché compiangersi e soccorrersi nella comune calamità, guardano come barbari tutti quegl’Italiani che non sono della loro provincia, e dalle cui membra non suonano le stesse catene.

Quando apprende la notizia del matrimonio di Teresa con Odoardo, decide di tornare in Veneto per rivederla un’ultima volta.
Jacopo, recandosi a casa del signor T***, lo incontra mentre passeggia con la figlia e il genero ma i saluti sono freddi e distaccati.
Ormai deluso dall’amore, dalla vita, dalla politica e dai suoi compatrioti si uccide pugnalandosi al petto e trovando così la liberazione nell’unico modo ormai per lui possibile.

Lo seppi: Teresa è maritata. Tu taci per non darmi la vera ferita – ma l’infermo geme quando la morte il combatte, ma non quando lo ha vinto.

Veggo la meta: ho già tutto fermo da gran tempo nel cuore – il modo, il luogo – né il giorno è lontano.
Cos’è la vita per me? il tempo mi divorò i momenti felici: io non la conosco se non nel sentimento del dolore: ed or anche l’illusione mi abbandona – medito sul passato; m’affiso su i dì che verranno; e non veggo che nulla.

Pentimenti sul passato, noja del presente, e timor del futuro; ecco la vita: La sola morte, a cui è commesso il sacro cangiamento delle cose, promette pace.

Ultime lettere di Jacopo Ortis
(Mondadori , 2010 Cles TN)
Non c’è uno sviluppo avvincente nello svolgersi del romanzo, la vera sostanza del racconto sono le riflessioni del protagonista, alter ego del Foscolo, ed una compiaciuta autocommiserazione, tratto tipico del romanticismo.
“Ultime lettere di Jacopo Ortis” è un libro per appassionati di letteratura romantica, per idealisti sensibili e per utopisti.
Non si può che rimanere sorpresi davanti alla triste attualità di alcune meditazioni del Foscolo:
                           
Questa università è per lo più composta di professori orgogliosi e nemici fra loro, e di scolari dissipatissimi. Sai tu perché fra la turba de’ dotti gli uomini sommi sono così rari?

Nella società si legge molto, non si medita e si copia; parlando sempre si svapora quella bile generosa che fa sentire, pensare, e scrivere fortemente: per balbettar molte lingue, balbetta anche la propria, ridicoli a un tempo agli stranieri e a noi stessi:dipendenti dagl’interessi, dai pregiudizi, e dai vizj degli uomini fra’ quali si vive, e guidati da una catena di doveri e di bisogni, si commette alla moltitudine la nostra gloria, e la nostra felicità: si palpa la ricchezza e la possanza, e si paventa perfino di essere grandi perché la fama aizza i persecutori, l’altezza di animo fa sospettare i governi; e i principi vogliono gli uomini tali da non riuscire né eroi, né incliti scellerati mai.

venerdì 23 marzo 2012

"La sovrana lettrice" di Alan Bennett


"La sovrana lettrice", Alan Bennett
Adelphi (2007- Cusano MI)
“La sovrana lettrice” (titolo originale “The Uncommon Reader”) è un racconto di circa un centinaio di pagine ironico e piacevole.
Alan Bennett, con il suo consueto stile brioso e conciso, ci regala un romanzo brillante e originale; un libro davvero godile e divertente.

Fu tutta colpa dei cani. Di norma, dopo aver scorazzato in giardino salivano da veri snob i gradini dell’ingresso principale, e generalmente li faceva entrare un valletto in livrea.
E invece quel giorno, per qualche ragione, si precipitarono di nuovo giù dai gradini, girarono l’angolo e la regina li sentì abbaiare a squarciagola in uno dei cortili.
La biblioteca circolante del distretto di Westminster, un grande furgone come quelli dei traslochi, era parcheggiata davanti alle cucine.

Da qui prende via il racconto che vede come protagonista Elisabetta II d’Inghilterra nei panni della “sovrana lettrice” la quale, del tutto casualmente, scopre il piacere della lettura. Piacere che diventa ben presto un’ossessione ed il tempo trascorso senza leggere diventa irrimediabilmente perso. Assistiamo così a tutta una serie di scene esilaranti nelle quali Elisabetta cerca di nascondere il vizio della lettura, affinando la sua abilità a parlare in pubblico o a salutare la folla mentre i suoi occhi cadono sulla pagina del libro.
Il rapporto con la lettura diviene talmente travolgente ed incontrollabile che per la regina diventa sempre più difficile mantenere un equilibrio tra questa passione e gli impegni ufficiali, mentre l’intera corte è gettata nello scompiglio e la nazione inizia a preoccuparsi.

Certamente, –  disse  la regina – ma ragguagliare non è leggere. Anzi, è l’esatto contrario. Il raggiungimento è succinto, concreto e pertinente. La lettura è disordinata, dispersiva e sempre invitante. Il ragguaglio esaurisce la questione, la lettura la apre.

Passare il tempo? – esclamò la regina. I libri non sono un passatempo. Parlano di altre vite. Di altri mondi.

Un libro è un ordigno per infiammare l’immaginazione.

Ad un certo punto però la situazione precipita, Elisabetta si rende conto che leggere e prendere appunti non è più sufficiente.

Leggere non avrebbe cambiato le cose… Scrivere magari sì.
Dovendo rispondere alla domanda se la lettura le avesse arricchito la vita, avrebbe risposto di sì, salvo aggiungere con altrettanta certezza che l’aveva vuotata di qualsiasi scopo. In passato era stata una donna risoluta che conosceva i suoi doveri e intendeva compierli fin quando possibile. Adesso si sentiva troppo spesso scissa in due. Leggere non era agire, quello era il problema. Anche a ottant’anni, lei era una donna d’azione.
Riaccese la luce, prese il taccuino e annotò: “Non si mette la vita nei libri. La si trova”.

Dopo le innumerevoli letture confuse e disordinate Elisabetta alla fine raggiungerà una più profonda conoscenza di sé e, fatto un bilancio della sua vita, arriverà a compiere un gesto estremo ed inaspettato.

A volte mi sono sentita come una candela mangiafumo mandata qua è là per profumare delle dittature: al giorno d’oggi la monarchia è solo un deodorante governativo.
Io sono la regina d’Inghilterra, ma negli ultimi cinquant’anni me ne sono vergognata spesso.

Consiglio questo racconto a tutti coloro che amano leggere, a coloro ai quali piace l’odore delle vecchie pagine ingiallite così come quello delle pagine fresche di stampa, a tutte quelle persone che quando arrivano all’ultima pagina di un buon libro si sentono perse e smarrite come se avessero perso un amico…

sabato 17 marzo 2012

“Una storia tra due città” di Charles Dickens


Charles Dickens (1812 – 1870) scrisse soltanto due romanzi storici “Barnaby Rudge” (1841) e “A Tale of Two Cities” pubblicato a puntate nel 1859.
Ambientato tra Parigi e Londra nel burrascoso periodo che va dagli anni immediatamente precedenti alla rivoluzione francese ed il regno del Terrore, “Una storia tra due città” narra le vicende private di un gruppo di persone attraverso un susseguirsi di colpi di scena.
Sebbene l’ambientazione differisca notevolmente dall’Inghilterra vittoriana tipica dei romanzi di Dickens, questo romanzo contiene tutti i temi classici dell’opera dickensiana: la povertà, la nobiltà d'animo, il riscatto e il sacrificio.
L’incipit del romanzo chiarisce immediatamente il collegamento tra il passato che sta per essere raccontato ed il presente che viene vissuto:

Erano i giorni migliori, erano i giorni peggiori, era un’epoca di saggezza, era un’epoca di follia, era tempo di fede, era tempo di incredulità, era una stagione di luce, era una stagione buia, era la primavera della speranza, era l’inverno della disperazione, ogni futuro era di fronte a noi, e futuro non avevamo, diretti verso il paradiso, eravamo incamminati nella direzione opposta. A farla breve, era quello un tempo così simile al nostro che alcune fra le voci più autorevoli, quelle che più strillavano, insistevano a giudicarlo, nel bene e nel male, solamente per superlativi.

Dickens lancia attraverso il tempo passato, un monito al tempo presente in cui è ancora viva la minaccia della ripetizione dell’antico. Si deve, infatti, tener conto che nel 1859 (anno di pubblicazione del romanzo) è ancora ben vivo il ricordo dei tumulti e delle agitazioni dovute all’approvazione della Corn Law e quello dei moti rivoluzionari a seguito del movimento cartista, che con la sua richiesta di una radicale riforma elettorale, rievocava i fantasmi del Terrore francese.
Per Dickens la rivoluzione è una malattia, è febbre e delirio di autodistruzione il cui contagio si propaga a velocità spaventosa.
La società è continuamente minacciata a causa degli squilibri della distribuzione della ricchezza e la folla sottoposta a continui soprusi diventa facilmente crudele e incontrollabile:

a quel tempo la folla era un mostro molto temuto e che non si fermava davanti a nulla

Tra le molteplici vicende umane che si intrecciano in queste pagine spiccano quelle di Lucie Manette, donna virtuosa, che ispira amore e lealtà negli altri personaggi e quelle di suo padre, un medico ingiustamente incarcerato.
Il romanzo è soprattutto la storia del Dottor Alexandre Manette: la storia inizia, infatti, con il suo rilascio dalla Bastiglia e alla fine sarà proprio la lettura della sua lettera che, per un destino beffardo, decreterà la condanna a morte del genero Darnay, obbligando così Sydney Carton a sacrificare la propria vita.
Alexandre Manette, dottore di belle speranze in gioventù, è uno dei personaggi più complessi del racconto: da prigioniero che medita vendetta - attraverso un difficile percorso che alterna follia e lotta contro i propri fantasmi – riesce alla fine, per amore della figlia e della nipote, a mettere da parte l’odio e la rabbia e diventare egli stesso simbolo di perdono.
La tematica del “dualismo” si avverte in diversi personaggi: Lucie filo d’oro della vità di famiglia è contrapposta a Madame Defarge che lavora a maglia il filo dell’odio. Lucie, avrebbe le stesse ragioni di rancore di Madame Defarge, la cui famiglia è stata sterminata dall’arroganza e dalla prepotenza aristocratica, ma Lucie incarna la quintessenza dell’ideale femminile piccolo-borgese (dolcezza, amore e compassione). Madame Defarge, sanguinaria e vendicativa, è l’incarnazione di una femminilità sfigurata, è l’incarnazione della rivoluzione stessa e della perversione.
Il marito di Lucie, Charles Darnay (giustizia e senso del dovere), aristocratico francese espatriato in Inghilterra, indiscriminatamente accusato durante il Terrore, è il doppio di Sydney Carton, personaggio dalla vita dissoluta e dedito all’alcol. Carton riscatterà la sua apatica esistenza sacrificando la sua vita per amore di Lucie e della sua famiglia, diventando così un “eroe”.
Tema ricorrente è dunque anche quello della rinascita, della resurrezione: il Dottor Manette, Sydeny Carton e Darnay/Evrémonde sono tutti personaggi che sono stati “richiamati alla vita” anche se in modi diversi.
Lo stesso Jerry Cruncher, figura minore nell’economia del racconto, diviene forte simbolo di redenzione quando, pentendosi, rinuncerà al furto di cadaveri al quale era dedito riconciliandosi con la religione.
Considerato da Dickens stesso uno dei suoi romanzi più riusciti,  “A Tale of Two Cities” è un testo che appassiona fin dalla prima pagina per il suo mescolare verità storica e finzione.


Bibliografia
Dickens Charles, Una storia tra due città, Ed. Mondadori (2012 Cles -TN)
Mario Domenichelli, Introduzione in Dickens Charles, Una storia tra due città, Ed. Mondadori (2012 Cles -TN)