martedì 26 giugno 2012

“Il giardino dorato” di Harry Bernstein


Harry Bernstein (1910-2011) nato vicino a Manchester, figlio di ebrei polacchi, emigrò con la famiglia negli Stati Uniti dopo la prima guerra mondiale. Lavorò dapprima come lettore per diverse case cinematografiche, selezionando soggetti per il grande schermo, e successivamente come redattore per alcune riviste commerciali. Collaborò inoltre come freelance per varie testate giornalistiche.
Dopo la morte della moglie, avvenuta nel 2003, all’età di 92 anni si dedicò alla scrittura del suo primo libro “The invisible wall” (Il muro invisibile), che ottenne subito un buon successo di critica e di pubblico. Tradotto in diversi paesi, fu finalista nel 2008 al Premio Bancarella.
Seguirono poi “The dream” (Il sogno infinito) e “The golden willow” (Il giardino dorato).
Il suo ultimo romanzo “ What happened to Rose?” (La sognatrice bugiarda) è stato pubblicato postumo nel 2012 ed è un omaggio dedicato alla sorella Rose.

I libri di Bernstein sono tutti romanzi autobiografici e l’autore risulta immediatamente abilissimo a tenere incollato il lettore alle pagine coinvolgendolo e appassionandolo alle sue storie di vita vissuta.
I romanzi sono toccanti, avvincenti e delicati. Non si può che rimanere commossi leggendo le vicende della famiglia Bernstein e delle persone che hanno fatto parte della loro vita.
Attraverso una scrittura semplice e scorrevole, conosciamo la madre di Harry una donna forte, coraggiosa e tenace, disposta a fare qualunque sacrificio per i propri figli e pronta a subire qualunque umiliazione per il loro benessere; la figura materna è in aperto contrasto con quella del padre, un uomo aggressivo, egoista e solitario, che sperpera al pub tutto ciò che guadagna. Facciamo inoltre conoscenza con i fratelli di Harry dai caratteri così diversi gli uni dagli altri e con le sorelle: la dolce e intelligente Lily e la ribelle Rose.

Ne “Il muro invisibile” Bernstein ci racconta la sua infanzia trascorsa in un quartiere operaio del Lancashire dove vivevano, separati da un'invisibile barriera, cristiani ed ebrei. Forte era l’avversione che le due comunità provavano l’una per l’altra; in quella strada fatta di povere case di mattoni tutte uguali si fronteggiavano due mondi distanti, separati da credenze e usanze diverse, da pregiudizi che portavano a continue lotte e scontri fra le due fazioni. Nonostante questo però c’era ancora spazio per la speranza, la possibilità di aprire una breccia in quel muro invisibile eppur così solido: Lily e Arthur, tra difficoltà ed ostacoli, riusciranno a coronare il loro sogno d’amore e far accettare la loro unione “mista” alle rispettive famiglie. Quando Harry avrà dodici anni, le speranze della madre finalmente si realizzeranno: un giorno il postino recapiterà una busta con i biglietti per poter raggiungere i parenti negli Stati Uniti. Inizierà così per Harry e la sua famiglia una nuova avventura, quella del sogno americano…

“Il sogno infinito” è proprio il racconto della vita di Harry una volta giunto negli Stati Uniti. Le cose finalmente sembrano girare nel verso giusto per la famiglia Bernstein, ma quando ogni desiderio sembra ormai essersi realizzato arriva la Grande Depressione. Tutto ricomincia daccapo: le liti col padre, la miseria, le umiliazioni, la difficoltà di trovare un lavoro…

“Il giardino dorato” potremmo definirlo la terza e conclusiva “puntata” della storia di Harry Bernstein. Il titolo originale dell’opera è “The golden willow”, in ricordo del salice dorato a Central Park simbolo dell’affetto e della passione tra Harry e la moglie che avevano fatto l’amore per la prima volta proprio sotto quei rami lunghi e sottili che ricadevano con grazia fino a toccare terra, gonfiandosi come la gonna di un abito da ballo di una volta. In questo libro Bernstein ripercorre gli anni trascorsi accanto a Ruby, 67 anni di gioia, tenerezza, amicizia, sogni, speranze, vittorie ma anche di sacrifici condivisi e di dolore per la perdita delle persone care. La narrazione si snoda tra il presente, il passato recente ed il ricordo degli anni ormai lontani nel tempo. E’ davvero struggente il sentimento di tenerezza con cui lo scrittore ricorda gli anni vissuti accanto alla moglie ed è estremamente toccante la rievocazione di ogni singolo semplice particolare. Ogni piccola cosa che sia un comune trasloco, un aneddoto sull’educazione dei figli, una cena in famiglia ci vengono raccontati con una delicatezza che non può non emozionare il lettore. Ma quello che colpisce di più è l’amore che unisce questa coppia, un amore totale fatto di comprensione, rispetto e complicità. Un amore incondizionato, assoluto che farà pronunciare ad Harry le seguenti parole: “guardandola e ascoltando il suo respiro, pensai: Beh, ecco la ricompensa per tutto quello che non ho fatto”.
Quando la moglie muore di leucemia, Harry si sente completamente e comprensibilmente solo, abbandonato. Nonostante tutti cerchino di convincerlo che solo il tempo potrà curare le sue ferite, lui sa, dentro di sé, che il tempo non potrà mai alleviare il dolore della perdita e capisce che l’unica cura che potrà aiutarlo a lenire il suo tormento sarà la scrittura.
In questo ultimo libro non ritroviamo né lo struggimento per i tempi andati che faceva da filo conduttore ne “Il muro invisibile” né la rabbia verso le continue difficoltà della vita, tema principale ne “Il sogno infinito”. “Il giardino dorato” è il romanzo della rassegnazione e dell’accettazione della vecchiaia. Malinconiche e davvero emozionanti sono le pagine in cui Harry deve prendere coscienza del decadimento fisico che è sopraggiunto: le sempre più frequenti cadute durante le passeggiate, le difficoltà sempre maggiori nell’affrontare la vita quotidiana, il doversi adattare ad usare il deambulatore nonostante l’ostinazione iniziale di volerne e poterne farne a meno…
Al di là dell’amarezza e dell’avvilimento però c’è anche la consapevolezza di aver vissuto una vita piena, di aver avuto accanto una persona eccezionale e dei figli meravigliosi, aver conosciuto delle persone speciali e aver realizzato, ormai ultranovantenne, il “suo” grande sogno: diventare uno scrittore.
                                                                                                                                      
2008
Adesso vivo da solo, ma non sono realmente solo. La mia mente è popolata dalle persone di cui scrivo da almeno cinque anni. Oggi che questo, il mio terzo libro, è finito ho raccontato tutta la storia della mia vita dal momento in cui sono nato all’istante in cui morirò, o quasi. Ormai sono vicino ai cent’anni, perciò immagino non possa essere troppo lontano.

Il libro è anche un libro di speranza, la speranza che nella vita non sia mai troppo tardi per realizzare i propri desideri perché la vita è possibilità…

Alla fine ho sperimentato quel momento di gloria che avevo sempre agognato, che forse tutti agognano, e mai nel corso di questi ultimi anni sorprendenti, che al massimo potevo aspettarmi di trascorrere in pace e tranquillità, mai mi sono sentito così gratificato come quando ho iniziato a ricevere premi per i miei libri.

Spesso ne “Il giardino dorato” Bernstein fa riferimento a storie ed eventi già raccontati nei precedenti romanzi e ciò rende inevitabilmente necessario aver letto gli altri volumi per poterne apprezzare a pieno la lettura.
Un consiglio: leggeteli tutti! Perché raramente si trovano storie vere che lasciano il segno come nel caso dei libri di Bernstein.



giovedì 14 giugno 2012

“Aspettami ed io tornerò” (Konstantin M. Simonov)


Aspettami ed io tornerò,
ma aspettami con tutte le tue forze.
Aspettami quando le gialle piogge
ti ispirano tristezza,
aspettami quando infuria la tormenta,
aspettami quando c'è caldo,
quando più non si aspettano gli altri,
obliando tutto ciò che accadde ieri.
Aspettami quando da luoghi lontani
non giungeranno mie lettere,
aspettami quando ne avranno abbastanza
tutti quelli che aspettano con te.

Aspettami ed io tornerò,
non augurare del bene
a tutti coloro che sanno a memoria
che è tempo di dimenticare.
Credano pure mio figlio e mia madre
che io non sono più,
gli amici si stanchino di aspettare
e, stretti intorno al fuoco,
bevano vino amaro
in memoria dell'anima mia...
Aspettami. E non t'affrettare
a bere insieme con loro.

Aspettami ed io tornerò
ad onta di tutte le morti.
E colui che ormai non mi aspettava,
dica che ho avuto fortuna.
Chi non aspettò non può capire
come tu mi abbia salvato
in mezzo al fuoco
con la tua attesa.
Solo noi due conosceremo
come io sia sopravvissuto:
tu hai saputo aspettare semplicemente
come nessun altro.


Konstantin M. Simonov (San Pietroburgo 1915 – Mosca 1979), scrittore e uomo politico, riuscì a coniugare perfettamente la sua attività letteraria ed i suoi impegni istituzionali. Ricoprì, infatti, alte cariche di governo: fu deputato del Soviet Supremo dell’URSS e membro (dal 1949) del Praesidium del Comitato sovietico per la difesa della pace.
Esordì nel 1937 come letterato con alcuni poemi storici, ma è alla sua attività di drammaturgo che deve soprattutto la sua fama.
Durante la seconda guerra mondiale fu corrispondente dal fronte per il giornale “Stella Rossa” e pubblicò versi, schizzi e racconti di guerra. Ampia notorietà gli procurarono in questo periodo le sue poesie d’amore.
“Aspettami ed io tornerò”, in cui un soldato chiede alla sua amata di aspettarlo e credere ad un suo ritorno nonostante tutti intorno a lei abbiano ormai abbandonato le speranze, fu scritta da Simonov per la sua futura moglie, l’attrice Valentina Serova; questa poesia ebbe un grandissimo successo all’epoca ed ancora oggi è una delle più famose e conosciute poesie in lingua russa.
Ispirati alla guerra scrisse diversi drammi tra cui “Gente russa” (1941) oltre al romanzo “I giorni e le notti” (1943-44), dedicato alla difesa di Stalingrado.
Dopo la guerra la sua attenzione fu rivolta ai problemi di politica internazionale sia nei suoi versi che nei suoi drammi.
Da molte delle sue opere (drammi e romanzi) sono stati tratti dei film. 


sabato 9 giugno 2012

“Il trono di spade” di George R.R. Martin


Primo volume della saga scritta da George R.R. Martin che ha conquistato milioni di lettori, “Il trono di spade” è ambientato in un mondo fantastico con forti richiami all’epoca medievale, pervaso da intrighi politici e scandali, dove gli inverni e le estati durano intere generazioni.
Robert Baratheon, re dei Sette Regni, richiama a corte il suo vecchio amico e compagno d’armi, Eddard Stark, Lord di Grande Inverno, per conferirgli il titolo di Primo Cavaliere, principale carica del regno, seconda solo a quella del sovrano stesso.
Nel frattempo Lady Lysa Tully di Delta delle Acque, moglie del defunto Primo Cavaliere Jon Arryn Lord di Nido dell’Aquila, avverte la sorella, Lady Catelyn moglie di Eddard Stark, dei suoi più che fondati sospetti sull’assassinio del marito per mano dei Lannister di Castel Granito (famiglia della regina Cersei, moglie di re Robert). Appena divenuto Primo Cavaliere, Lord Stark, giunto a corte inizia a svolgere indagini personali sul presunto assassinio del suo predecessore.
Al di là del mare, il giovane Viserys e sua sorella Daenerys, figli di Aerys II, detto il Re Folle, discendenti della famiglia reale dei Targaryen, Signori dei draghi, si adoperano per riconquistare il Trono di spade perso durante la sanguinosa guerra che aveva portato su quello stesso trono proprio Robert Baratheon.

Nel frattempo i conflitti sempre più accesi tra le casate degli Stark, Lannister e Baratheon oltre a quelli con le altre nobili famiglie dei Tully, Arryn, Tyrrell e Greyjoy spingono gli eventi verso una guerra di proporzioni epiche.
Nell’estremo nord, alla Barriera – un’immensa muraglia eretta per difendersi da qualunque essere umano e non umano viva al di là di essa – i Guardiani della notte, sempre meno numerosi e sempre più abbandonati a se stessi, cercano di tenere lontani i pericoli che minacciano il regno.
Il motto degli Stark “L’inverno sta arrivando” è ogni giorno più realistico, l’inverno arriverà presto e con esso arriveranno anche gli Estranei, creature demoniache, una specie di “non morti” dagli occhi azzurri e gelidi…
I protagonisti della saga sono tantissimi, ma fortunatamente il libro è fornito di precise tavole descrittive dei vari personaggi e da mappe dettagliate del territorio. Lontanissimo dall’idea del fantasy del “Signore degli Anelli” di Tolkien, “Il trono di spade” è comunque una saga fantasy sotto tutti gli aspetti. E’ vero che all’inizio sembra non esserci nulla di fantastico, ma è solo apparenza, Martin, infatti, introduce l’elemento fantasy poco per volta; attraverso il racconto dell’estinzione dei draghi in un’epoca non molto remota, il ritrovamento dei cuccioli di meta-lupo da parte degli Stark, i continui riferimenti agli Estranei, l’autore ci introduce in un mondo dove comprendiamo che l’elemento magico avrà un ruolo essenziale nella storia.
Il racconto viene ripartito in capitoli dove si narrano le vicende suddivise in base al personaggio protagonista del brano. Questo ci regala un romanzo ben strutturato, che ci sottopone i punti di vista differenti dei personaggi, spingendoci a prendere posizione parteggiando ora per l’uno, ora per l’altro dei protagonisti. Intrighi, passione, amore, duelli, incesti, segreti, tradimenti, non sembra mancare proprio nulla in questa saga dove crudeltà e sete di potere sono gli elementi principali.
Non esiste però una netta divisione tra bene e male, la psicologia di ogni singolo personaggio viene ampiamente indagata e di ognuno vengono evidenziate caratteristiche e passioni umane (orgoglio, amore, passione, gelosia ecc.); vengono presentate infinite sfumature della personalità di ogni protagonista così come sono indagati a fondo i rapporti tra i vari personaggi. Jon Snow, il bastardo, figlio di Eddard Stark e di una donna misteriosa di cui tutti ignorano l’identità, ad esempio viene identificato non solo attraverso le sue caratteristiche fisiche e morali, ma anche attraverso i suoi rapporti con i vari fratellastri (la complicità con Arya, la freddezza di Sansa nei suoi confronti, il rispetto reciproco che lo lega a  Rob, l’affetto corrisposto verso i più piccoli Bran e Rickon), con il padre che lo ama come gli altri figli nonostante gli ricordi la sua debolezza, con Lady Catlyn che lo odia perché simbolo vivente del tradimento del marito, con Theon Greyjoy che lo disprezzo in quanto bastardo, con lo stesso Tyron Lannister che vede in lui riflessa la sua “diversità” e decide di dispensargli qualche perla della sua “saggezza”:

Mai, mai dimenticare chi sei, perché di certo il mondo non lo dimenticherà. Trasforma chi sei nella tua forza, così non potrà mai essere la tua debolezza. Fanne un’armatura, e non potrà mai essere usata contro di te.

Non esistono eroi immortali, tutti possono morire, tutti possono cadere sia i protagonisti veri e propri, sia i personaggi minori; cadono i potenti, i ricchi, i colpevoli così come gli innocenti e i poveri; tutto questo rende il racconto molto reale e grazie anche alla capacità di Martin di descrivere perfettamente gli eventi, la storia è emozionante, appassionante, coinvolgente tanto da riuscire a tenere incollato il lettore fino all’ultima pagina del libro.
Esiste una trasposizione cinematografica della saga a cura della HBO, trasmessa in Italia da Sky, che ha già mandato in onda la prima e la seconda stagione della serie televisiva. Indubbiamente vedere la serie TV aiuta a conoscere meglio i personaggi perché sono davvero tantissimi, ma devo dire che non ho apprezzato affatto, soprattutto nella prima serie (corrispondente al primo volume o primi due volumi a seconda dell’edizione Mondadori scelta), le esasperate scene di sesso e violenza in quanto a differenza di quelle presenti nel libro sono il più delle volte fini a se stesse e, non essendo pertanto necessarie al racconto, risultano spesso fastidiose.
“Il trono di spade” è una saga lunghissima e il suo autore ritiene siano necessari 7 volumi per raccontare l’intera storia. In Italia, per le solite ragioni commerciali, i volumi già pubblicati ed editi da Mondadori, sono stati divisi in due libri, creando così non poca confusione.
Cercando di mettere un po’ di ordine…

Volume 1 – A Games of Thrones
Il trono di spade
Il grande inverno
pubblicati recentemente anche in unico volume

Volume 2 – A Clash of Kings
Il regno dei lupi
La regina dei draghi
pubblicati recentemente anche in unico volume

Volume 3 – A Stormo f Swords
I fiumi della guerra
Il portale delle tenebre

Volume 4 – A Feast for Crows
Il dominio della regina
L’ombra della profezia

Volume 5 – A Dance with Dragons
I guerrieri del ghiaccio
I fuochi di Valyria
La danza dei draghi 

I titoli dei volumi 6 e 7 dovrebbero essere “The Winds of Winter” e “A Dream of Springs”.
Buona lettura!




venerdì 1 giugno 2012

O Captain! My Captain! (Walt Whitman)


O Captain! My Captain! our fearful trip is done;
The ship has weather'd every rack, the prize we sought is won;
The port is near, the bells I hear, the people all exulting,
While follow eyes the steady keel, the vessel grim and daring
But O heart! heart! heart!
O the bleeding drops of red,
Where on the deck my Captain lies,
Fallen cold and dead.

O Captain! My Captain! rise up and hear the bells;
Rise up-for you the flag is flung-for you the bugle trills;
For you bouquets and ribbon'd wreaths-for you the shores a-crowding;
For you they call, the swaying mass, their eager faces turning
Here Captain! dear father!
This arm beneath your head;
It is some dream that on the deck,
You've fallen cold and dead.

My Captain does not answer, his lips are pale and still;
My father does not feel my arm, he has no pulse nor will;
The ship is anchor'd safe and sound, its voyage closed and done;
From fearful trip the victor ship comes in with object won
Exult, O shores, and ring, O bells!
But I with mournful tread,
Walk the deck my Captain lies,
Fallen cold and dead.


O capitano! Mio capitano! il nostro viaggio tremendo è finito,
La nave ha superato ogni tempesta, l'ambito premio è vinto,
Il porto è vicino, odo le campane, il popolo è esultante,
Gli occhi seguono la solida chiglia, l'audace e altero vascello;
Ma o cuore! cuore! cuore!
O rosse gocce sanguinanti sul ponte
Dove è disteso il mio Capitano
Caduto morto, freddato.

O capitano! Mio capitano! alzati e ascolta le campane; alzati,
Svetta per te la bandiera, trilla per te la tromba, per te
I mazzi di fiori, le ghirlande coi nastri, le rive nere di folla,
Chiamano te, le masse ondeggianti, i volti fissi impazienti,
Qua capitano! padre amato!
Questo braccio sotto il tuo capo!
È un puro sogno che sul ponte
Cadesti morto, freddato.

Ma non risponde il mio capitano, immobili e bianche le sue labbra,
Mio padre non sente il mio braccio, non ha più polso e volere;
La nave è ancorata sana e salva, il viaggio è finito,
Torna dal viaggio tremendo col premio vinto la nave;
Rive esultate, e voi squillate, campane!
Io con passo angosciato cammino sul ponte
Dove è disteso il mio capitano
Caduto morto, freddato.


Walt Whitman (1819 – 1892), poeta e scrittore, è oggi considerato il maggior esponente della poesia dell’Ottocento americano. Fu autore della famosa raccolta di poesie “Foglie d’erba”, opera che venne pubblicata in diverse edizioni.
La poesia “O Captain! My Captain!” fu scritta nel 1865 per la morte del presidente Abraham Lincoln, assassinato quello stesso anno.
L’ode è infatti ricca di riferimenti metaforici alla vicenda: la nave che, sotto il comando del suo comandante porta a termine il duro viaggio, è un chiaro richiamo agli Stati Uniti d’America che, sotto il comando del loro Presidente/Padre della Patria, escono vittoriosi dalla sanguinosa guerra di secessione.
Questa poesia è stata resa celebre sul grande schermo grazie al bellissimo film del 1989, diretto da Peter Weir, “L’attimo fuggente” (titolo originale “Dead Poets Society”), di cui divenne il filo conduttore.
Il professor John Keating, interpretato da Robin Williams, si avvale proprio della poetica di Walt Whitman ed in particolare di questa ode, per spiegare ai ragazzi il vero senso della poesia:

Non leggiamo e scriviamo poesie perché è carino, noi leggiamo e scriviamo poesie perché siamo membri della razza umana e la razza umana è piena di passione. Medicina, legge, economia, ingegneria, sono nobili professioni, necessarie al nostro sostentamento, ma la poesia, la bellezza, il romanticismo, sono queste le cose che ci tengono in vita.


“O Capitano, mio capitano!” Chi conosce questi versi? Non lo sapete? È una poesia di Walt Whitman, che parla di Abramo Lincoln. Ecco, in questa classe potete chiamarmi professor Keating o se siete un po’ più audaci, “O Capitano, mio Capitano”.


sabato 26 maggio 2012

La trilogia di Fitzwilliam Darcy (Pamela Aidan)


Pamela Aidan nasce nel 1953 in Pennsylvania. Svolge per trent’anni il lavoro di bibliotecaria senza mai dimenticare la passione coltivata fin da adolescente per Jane Austen. Proprio questa passione mai sopita la spinge a “riscrivere” il grande capolavoro dell’amata autrice inglese “Orgoglio e pregiudizio”.
Chi, tra coloro che adorano questo romanzo, può dire di non aver mai desiderato almeno una volta conoscere i pensieri di Mr. Darcy? Chi non si è mai chiesto cosa provasse? O come avesse occupato il tempo lontano da Elizabeth? Della vivace, sensibile, intelligente e razionale Miss Elizabeth Bennet sappiamo tutto, ma cosa possiamo dire dell’orgoglioso, freddo e controllato gentiluomo?
Pamela Aidan prova a darci una risposta attraverso questa trilogia e, grazie alla sua fervida fantasia, ricostruisce perfettamente le ambientazioni storiche, sociali e politiche del periodo Regency, attraverso uno stile di scrittura scorrevole e fedele a quello dell’epoca.
“Per orgoglio e per amore” il primo volume, racconta l’incontro tra Mr. Darcy ed Elizabeth.
Questo l’incipit del romanzo:

Fitzwilliam George Alexander Darcy si alzò dal divanetto della carrozza di Bingley e mise riluttante il piede a terra. Erano davanti alla sala delle feste situata al piano superiore dell’unica locanda che potesse vantare il centro agricolo commerciale di Meryton. Lassù si aprì una finestra, lasciando che la musica di una contraddanza, briosa ma di mediocre esecuzione, dilagasse nella quieta aria notturna. Con una smorfia, abbassò lo sguardo sul cappello che aveva tra le mani e poi, sospirando, lo collocò sul capo proprio nella giusta angolatura. Come, come hai potuto permettere, si redarguì, che Bingley ti trascinasse in questa sconclusionata scorreria nella vita sociale campagnola?

Nel secondo volume “Tra dovere e desiderio” Elizabeth non è presente; il romanzo ci racconta, infatti, le vicende di Mr. Darcy durante la sua assenza dalle pagine di “Orgoglio e pregiudizio”.
Darcy per dimenticare Miss Bennet decide di accettare l’invito di un vecchio compagno di studi e si ritrova in mezzo ad intrighi tessuti dagli amici e dagli altri ospiti, circondato da signore appartenenti all’alta società inglese, in cerca di marito. Dei tre volumi questo è forse quello meno avvincente, nonostante la creatività dimostrata dalla Aidan. Poco apprezzabile il taglio da romanzo giallo stile Agatha Christie; ottimi i dialoghi, molto ben curati, ed interessante il risalto dato a Fletcher, il valletto di Mr. Darcy, (personaggio di pura invenzione dell’autrice), una macchietta simpatica e divertente.
Il volume conclusivo si intitola “Quello che resta” e qui Pamela Aidan ritorna nuovamente ad attingere alla trama originale.
La scelta di dividere in tre romanzi la storia è da ricondursi ovviamente ad una scelta puramente commerciale. Tra i nuovi personaggi introdotti dalla Aidan oltre alla figura del valletto Fletcher, già precedentemente citata, molto ben riuscito è anche il personaggio di Lord Dyfied Broughman, che gioca sulla sua ambiguità facendosi passare per un vanesio perfettamente a suo agio nella vita mondana, ma che si rivelerà ben presto una persona di buon senso ed un amico affidabile nei confronti di Darcy; sarà proprio lui il pigmalione che, sotto la sua ala protettrice, aiuterà la timida ed insicura Georgiana durante il debutto in società, valorizzandone doti e qualità; l’approfondimento della conoscenza tra i due porterà a sviluppi piuttosto scontati, ma tuttavia piacevoli da leggere. Il ritratto di Darcy durante il suo “periodo mondano” lascia quantomeno un po’ perplessi, in quanto viene descritto come un dandy al cospetto del quale persino Lord Brummel impallidirebbe; l’impressione è che Pamela Aidan per la descrizione di questo Darcy, piuttosto improbabile, così come per quella degli altri personaggi, delle ambientazioni e dei costumi, molto abbia attinto alla produzione ambientata nell’epoca Regency di Georgette Heyer.
Nei romanzi di Pamela Aidan non c’è più traccia dell’ironia e dell’arguzia con cui Jane Austen illustrava i suoi personaggi e rappresentava la società dell’epoca; qui tutto è incentrato sulla storia d’amore tra Elizabeth e Darcy che, tra tormenti e sospiri, incertezze e patimenti, cade un po’ troppo spesso nella banalità del romanzo rosa.

Allora aveva infilato la mano in tasca del panciotto e ne aveva tratto l’oggetto del suo ricordo, rigirandosi tra le dite emozioni e desideri con la stessa delicatezza con cui toccava i fili che lei aveva dimenticato tra le pagine dei versi del Paradiso perduto.

Negli ultimi tempi sono stati pubblicati molti, forse troppi, romanzi in cui Jane Austen o i suoi personaggi sono protagonisti delle diverse storie; a partire dalla serie di libri in cui la Austen si improvvisa detective, quasi fosse l’antenata di Jessica Fletcher ovvero la signora in giallo, fino ad arrivare a titoli improponibili come “Orgoglio pregiudizio e zombie”,  “Sospetto e sentimento o lo specchio misterioso”…Ho letto per curiosità “Shopping con Jane Austen”, un romanzo illeggibile, l’idea di fondo sarebbe stata anche originale, ma la realizzazione si è rivelata pessima, un libro senza trama, senza finale, in breve assurdo e senza senso!
Non mi piacciano rivisitazioni, sequel e riletture dei classici; ricordo ancora con orrore a teatro un Amleto in abiti contemporanei, lo so è soggettivo, ma per me vuol dire snaturare un’opera, cancellare la sua anima…Ho visto pochissimi esperimenti ben riusciti in questo senso; è vero, non sono impossibili, ma sono davvero molto rari. La trilogia di Pamela Aidan però, anche se ben lontana dal potersi definire un capolavoro della letteratura contemporanea, è comunque una lettura piacevole, non impegnativa e per certi versi originale; l’autrice ha la capacità di farci ritornare con la fantasia in luoghi familiari e di farci rileggere dialoghi ed emozioni che ci hanno fatto sognare. Libri da leggere sotto l’ombrellone…

domenica 20 maggio 2012

“L’amministratore” di Anthony Trollope


Anthony Trollope (1815 – 1882) fu uno dei più prolifici scrittori inglesi di epoca vittoriana. La sua produzione consiste in 47 romanzi (tutti di ottimo livello), 8 libri di viaggi, biografie, numerosi racconti e un’autobiografia pubblicata postuma nel 1883. Fu indubbiamente uno scrittore minore rispetto ad autori contemporanei del calibro di Charles Dickens e William Thackeray ma grazie alla sua fantasia, al mestiere ed alla conoscenza degli uomini, molti dei suoi romanzi sono oggi riconosciuti come classici della letteratura inglese.
“L’amministratore” è il primo libro della serie di sei romanzi (gli altri cinque si intitolano: “Le torri di Barchester”, “Il Dottor Thorne”, “La canonica di Framley”, “La casetta di Allington” e “Le ultime cronache del Barset”) che formano il cosiddetto ciclo delle cronache del Barsetshire. In questi romanzi Trollope ci racconta le storie ricche di speranze, timori e intrighi di una società dominata dagli esponenti del clero; tali vicende sono ambientate in una regione immaginaria (Barsetshire) nella quale si trova una cittadina, sede vescovile, altrettanto immaginaria (Barchester).
 “L’amministratore” è una storia molto semplice, con pochi personaggi, ricca però di ironia e di senso del’humour. La lettura delle prime pagine può risultare un po’ ostica se non si è esperti conoscitori della politica ecclesiastica, ma è solo un’impressione iniziale, superata questa apparente difficoltà, infatti, il romanzo si rivela una lettura piacevole e ci offre anche diversi spunti di riflessione molto interessanti.
Protagonista del primo romanzo delle cronache del Barsetshire è il reverendo Harding, primo cantore della cattedrale di Barchester e amministratore del pensionato per vecchi lavoratori (incarico legato alla nomina di primo cantore).
L’amministratore e gli anziani ospiti del pensionato vivono grazie ai proventi di un lascito del 1434, anno in cui John Hiram, un mercante di lana, lasciò in eredità la propria casa ed i propri terreni per il sostegno di dodici cardatori a riposo. L’istituto dall’epoca era prosperato, i terreni adibiti al pascolo erano stati edificati e le case costruite su di essi affittate; nel frattempo non trovandosi più cardatori a Barchester gli ospiti venivano scelti in base ad altri requisiti, direttamente dal vescovo e dai suoi collaboratori.
Septimius Harding è un uomo buono e amabile, è vedovo e ha due figlie: Eleanor, la minore, che vive ancora con il padre e Susan, la maggiore, moglie del reverendo Grantly, figlio del vescovo nonché arcidiacono di Barchester e rettore di Plumstead Episcopi.
Quando John Bold, giovane medico, paladino dei poveri e degli oppressi, sempre pronto ad eliminare ogni forma di sopruso, scopre l’iniqua suddivisione dei proventi del pensionato per cui l’amministratore percepisce una parte molto superiore a quella degli assistiti, decide di dover fare assolutamente qualcosa per rimediare a questa ingiustizia. Così, nonostante sia innamorato di Eleanor, che contraccambia il sentimento, e nonostante sia amico del reverendo Harding, non esita a denunciare pubblicamente la questione, intentando una causa e sensibilizzando anche la stampa. Tutti vengono coinvolti nella controversia ed, oltre ovviamente ai personaggi sopra nominati, entrano nel dibattito anche illustri avvocati, grandi cariche della chiesa e gli stessi anziani dell’ospizio; Trollope riesce a descrivere perfettamente di ognuno caratteristiche, motivazioni, passioni ed eccentricità individuali. Alla fine, Septimius Harding, prostrato ed amareggiato, ed in aperto contrasto con quanto gli verrà suggerito da avvocati e familiari, deciderà di seguire comunque la propria strada e la propria coscienza perché:

Quel che non poteva sopportare era venir accusato dagli altri e non assolto da se stesso. Dubitando, come aveva cominciato a dubitare, della legittimità della sua posizione al ricovero, sapeva che non gli sarebbe stata restituita la fiducia perché il signor Bold era caduto in errore riguardo a certe questioni procedurali; né poteva accontentarsi di cavarsela perché, grazie a qualche scappatoia legale, lui che riceveva dal ricovero il maggior profitto andava considerato solamente come uno dei dipendenti.

Non ci sono personaggi totalmente positivi o negativi, i personaggi descritti da Trollope sono semplicemente uomini e donne, e come tali hanno debolezze, desideri, aspirazioni; a volte sono egoisti, testardi e vogliono imporre la loro volontà altre volte sono confusi, incerti e tormentati dai dubbi.

(Il Dottor Grantly) voleva il successo per la sua parte e la sconfitta per quella dei nemici. Il vescovo voleva la pace a riguardo; una pace stabile se possibile, ma la pace a ogni modo fintantoché non si fosse concluso quel poco che restava dei suoi giorni; ma il signor Harding non solo voleva il successo e la pace, bensì chiedeva anche di essere discolpato agli occhi del mondo.

Certamente in questo romanzo niente e nessuno è salvo: Trollope attacca la chiesa d’Inghilterra, la stampa (The Times che all’epoca di Trollope era noto come il The Thunder, viene nel romanzo chiamato Jupiter), la legge (tribunali, avvocati, magistrati) e non tralascia neppure una frecciata ad un collega, il signor Popular Sentiment, chiaro riferimento a Charles Dickens.

“E questo sarebbe il monte Olimpo?” chiede l’estraneo incredulo. “E’ da questi piccoli edifici, scuri, sudici che hanno origine quelle leggi infallibili a cui i consigli dei ministri si sentono in dovere di obbedire; da cui devono essere guidati i vescovi, controllati i membri della Camera dei Lord e dei Comuni – istruiti sulle leggi i giudici, in fatto di strategia i generali, sulle tattiche navali gli ammiragli e sulla gestione dei loro carretti le venditrici di arance?”. “Sì, amico mio…da queste mura. Da qui vengono emesse le uniche bolle di cui si riconosca l’infallibilità per la guida delle anime e dei corpi britannici. Questa piccola corte è il Vaticano d’Inghilterra. (…)
E’ un fatto stupefacente per i comuni mortali che il Jupiter non sbagli mai.

L’impressione ricevuta dalla lettura di questo primo romanzo è stata piuttosto positiva, ma prima di esprimere un giudizio totalmente favorevole verso Trollope, preferisco leggere il secondo romanzo.  Sono abbastanza curiosa di sapere se le mie aspettative saranno soddisfatte. Chissà se i miei dubbi e il mio desiderio di conferme nascano dal fatto che l’autore non si è rivelato molto gentile nei confronti di uno dei miei scrittori preferiti e del romanzo d’appendice in genere; a voler proprio essere sinceri, non è che Trollope si sia allontanato poi così tanto dalla verità descrivendo i personaggi dickensiani…
Dickens fa della carica sentimentale il suo punto di forza, i suoi personaggi sono sempre schierati dalla parte del bene o del male, nelle sue descrizioni punta spesso sul grottesco e sul comico, caratteristiche che gli hanno fatto guadagnare grande successo di pubblico ma che non sempre hanno attirato i favori della critica.
Trollope, come abbiamo già detto, descrive le passioni umane per quello che sono, nel bene e nel male, non è mai tutto bianco o nero, le persone non sono mai o buone o cattive, nelle sue pagine c’è ironia, mai sarcasmo. Per tutti questi aspetti, ritengo che pur appartenendo alla stessa corrente letteraria del realismo inglese, Anthony Trollope sia forse da considerarsi più realista di Charles Dickens.

Noi ora ci muoviamo con passo più leggero e più veloce; lo scherno risulta più convincente del ragionamento, i tormenti immaginari commuovono più dei veri dolori e i romanzi a pubblicazione mensile persuadono dove dotti volumi in quarto non riescono a farlo. Se è destino che il mondo sia raddrizzato, l’impresa verrà compiuta dai fascicoli da uno scellino.
Tra tutti i riformatori del genere, il signor Sentiment è il più potente (...)
Il signor Sentiment  è senza dubbio un uomo molto potente e forse lo è di più perché i suoi poveri meritevoli sono così estremamente meritevoli; i suoi spietati ricchi così estremamente spietati e i genuinamente onesti così tanto onesti (…)

sabato 12 maggio 2012

“England expects that every man will do his duty” Horatio Nelson (1758 – 1805)


Horatio Nelson, l’ammiraglio britannico più famoso di tutti i tempi, nasce nel 1758 a Burnham Thorpe nel Norfolk.  Figlio di un uomo di chiesa, il reverendo Edmund Nelson, e della pronipote di Sir Walpole (primo ministro del parlamento), sesto di undici figli, perde la madre a soli nove anni e, dopo aver frequentato la scuola, all’età 12 anni entra nella marina reale inglese.
Prestando servizio nelle Indie Occidentali, nel Mar Baltico e in Canada, viene nominato capitano e nel 1878 sposa Frances Nisbet.
Tornato in patria, vi trascorre un tempo per lui interminabile (cinque anni) a mezza paga, senza vedere il mare, in preda allo sconforto ed alla frustrazione.
Quando nel 1793 l’Inghilterra entra in guerra contro la Francia Rivoluzionaria, Nelson ottenuto il comando del vascello Agamemnon, combatte nel Mediterraneo, dove nella battaglia di Calvi, perde la vista dell’occhio destro.
Il 14 febbraio 1797, contravvenendo agli ordini del suo superiore e mostrando tutta la sua audacia al limite dell’insubordinazione, chiude il passaggio alla flotta spagnola e attacca due navi nemiche, divenendo il principale artefice della vittoria della Royal Navy nella battaglia di Cape St. Vincent.
Nominato commodoro, una carica che, di fatto, ha le stesse responsabilità di ammiraglio, mentre partecipa alla battaglia di Santa Cruz (1797) per la conquista di Tenerife, viene colpito al braccio destro e, complici le poco evolute arti mediche del tempo, subisce l’amputazione dell’arto.
Horatio Nelson, nonostante l’incidente, continua a guidare con coraggio e intraprendenza le sue navi e nel 1798 ottiene un’altra grande vittoria sui Francesi nella famosa battaglia del Nilo, meglio conosciuta come la battaglia di Abukir che gli permette di essere nominato “Barone del Nilo”.
Giunto in seguito a Napoli, si impegna a proteggere la famiglia reale di Re Ferdinando IV di Borbone e della Regina Maria Carolina dall’invasione francese e, proprio in questa città, si innamora di Emma Hamilton, giovane moglie dell’ambasciatore inglese, la quale diviene ben presto la sua amante e dalla quale ha una figlia, Horatia.
Nel 1799 partecipa alla riconquista di Napoli dopo il periodo repubblicano e viene nominato Duca di Bronte. A causa di alcuni problemi legati alla sua condotta professionale nel ruolo svolto nella violenta repressione e nella condanna a morte dell’ammiraglio Caracciolo, viene richiamato in patria dove l’Ammiragliato, anche con l’intenzione di allontanarlo da Lady Hamilton, decide di affidargli nuovi incarichi.
Partecipa nel 1801 alla battaglia di Copenhagen diventando il protagonista del terribile bombardamento della città.
La battaglia per la quale Nelson verrà ricordato in eterno resta però la gloriosa battaglia di Trafalgar (21 ottobre 1805); proprio grazie a questo successo, infatti, l’Inghilterra riesce scongiurare un’imminente invasione dell’esercito napoleonico.
HMS Victory
Nelson fa issare sull’albero maestro la famosa frase “England expects that every man will do his duty” (L’Inghilterra si aspetta che ognuno compia il suo dovere) e porta alla vittoria la flotta inglese, chiudendo così in maniera definitiva il duello anglo-francese per il controllo dei mari e degli oceani.
Durante la battaglia un proiettile ferisce Nelson alla spalla sinistra procurandogli una perforazione polmonare e raggiungendo la colonna vertebrale. L’ammiraglio resta cosciente ancora per quattro ore prima di morire, riuscendo così ad assistere al trionfo inglese.
Il suo corpo non viene seppellito in mare, come avveniva per tutti coloro che morivano all’epoca su una nave, ma viene trasportato in patria immerso nel rum, in modo che l’alcool ne consenta la conservazione fino al funerale che sarà celebrato in maniera solenne e grandiosa. La tomba di Nelson si trova a St Paul’s Cathedral a Londra.

Questa a grandi linee è la biografia di Horatio Nelson, un eroe indomito, coraggioso e al tempo stesso contradditorio; un personaggio che mi ha sempre affascinato per la sua vita avventurosa e romantica, per il suo amore appassionato per una donna famosa all’epoca per la sua bellezza e per la morte precoce che lo colse proprio all’apice del suo successo.
Questa mia passione per Nelson e per la storia della Royal Navy all’epoca delle guerre napoleoniche, mi ha portato a leggere diversi libri sul tema. Ecco qualche lettura consigliata per chi volesse approfondire l’argomento:

“Nelson. L’uomo che sconfisse Napoleone” (di Terry Coleman – Mondadori)
Una biografia nella quale viene evidenziato il genio militare di Nelson, il suo patriottismo, ma senza dimenticare di evidenziare anche le caratteristiche dell’uomo, una figura piena di contrasti, eroico ma anche ossessionato di raggiungere la gloria, geniale e meschino nello stesso tempo.







“Nelson e noi” (di Alberto Cavanna e Furio Ciciliot – Mursia)
Il saggio ripercorre gli esordi navali del giovane Nelson, raccontandoci il suo periodo italiano e più precisamente quello ligure (il battesimo del fuoco di fronte a Capo Noli, l'inseguimento per tutta la Riviera di contrabbandieri genovesi e francesi e le spericolate azioni ad Alassio, Laigueglia, Vado e Voltri).







“Il tenente di Nelson” (di George Samuel Parsons – Effemme)
George Samuel Parsons è un ufficiale che combatté e prestò servizio sotto Lord Nelson e ci offre quindi l’eccezione testimonianza degli avvenimenti di cui fu spettatore. Le sue memorie furono pubblicate per la prima volta a puntate tra il 1837 e il 1840 sul Metropolitan Magazine ed in seguito, nel 1843, furono raccolte e pubblicate in un unico volume.







“Il capitano Nelson” (di Martino Sacchi – Magenes)
Nel libro vengono raccontati due anni, a partire dal 21 ottobre 1793, della vita di Horatio Nelson, quando ancora era un semplice capitano di vascello al comando dell’Agamemnon. Basandosi su diari, lettere e rapporti ufficiali, che vengono spesso citati nelle pagine di questo saggio, l’autore ricostruisce i fatti svoltisi 12 anni prima della battaglia di Trafalgar.






“Trafalgar. La battaglia che fermò Napoleone” (di Marco Zatterin – Rizzoli)
Il libro è una delle tante opere che sono state scritte e pubblicate nel 2005 sulla scia dei festeggiamenti per il duecentesimo anniversario della celebre battaglia di Trafalgar.
Come si intuisce dal titolo stesso, Zatterin ricostruisce con dovizia di particolari la battaglia, raccontandola minuto per minuto e riportando l’attenzione anche sui personaggi minori, quali marinai e fanti, che normalmente vengono dimenticati dalla storia fatta solo di ammiragli ed alti ufficiali.








"Lady Hamilton” (di Gilbert Sinouè – Neri Pozza)
A metà tra romanzo storico e biografia, il libro racconta la vita della donna che affascino Nelson e scandalizzò la buona società londinese diventandone l’amante. Fantasia e verità si fondono insieme regalandoci una storia appassionante, una biografia romanzata di scorrevole lettura.
Le pagine in cui vengono ricostruite le vicende della rivolta di Napoli sono molto dettagliate ed accurate.






Per chi volesse invece leggere qualche romanzo ambientato al tempo delle guerre napoleoniche e al quale facciano da sfondo i combattimenti della flotta anglo-fracese consiglio due scrittori in particolare:

C.S. Forester scrittore inglese (1899 – 1966) autore, oltre che di numerosi romanzi di avventure, dei libri dedicati a uno dei miei personaggi di fantasia preferiti: Horatio Hornblower, un antieroe ostinato, taciturno, a disagio in società ma imbattibile al comando della sua nave.
Alcuni definiscono le sue imprese come la più grande epopea che sia mai stata scritta sulla guerra sui mari ed io non posso che essere d’accordo.
Purtroppo non tutti i libri sono reperibili in traduzione italiana e credo che alcuni non siano stati più ristampati essendo pertanto irreperibili.
Sono disponibili comunque nell’edizione BUR Narrativa i seguenti tre volumi (una volta raccolti anche in un unico cofanetto):
Guardiamarina e tenente Hornblower
Le avventure del capitano Hornblower
Commodoro e Lord Hornblower
Il personaggio di Hornblower fu interpretato da Gregory Peck nel film “Le avventure del cap. Hornblower” (1951) di Raoul Walch
Da questa saga inoltre è stata tratta anche una bellissima serie TV in otto episodi, diretti da Andrew Grieve tra il 1998 e il 2003, ed interpretati da Ioan Gruffudd.

Patrick O’Brian, pseudonimo di Richard Patrick Russ (1914 – 2000) è scrittore, saggista e traduttore. Autore di vari romanzi, deve però la sua fama alla saga incentrata sui personaggi del Capitano Jack Aubrey e del suo amico fraterno ed inseparabile compagno, il dottor Stephen Maturin (naturalista ed agente segreto). Sono in totale 21 libri, di cui l’ultimo conclusivo purtroppo è incompiuto. I romanzi sono caratterizzati da un’alta qualità delle ricerche storiche effettuate da O’Brian, un’accurata esposizione delle complesse manovre navali e dalla dettagliata descrizione della società, della marina e della vita in genere dell’epoca.
Da questi romanzi nel 2003 è stato tratto un film “Master and Commander. Sfida ai confini del mare” diretto da Peter Weir e nel quale il ruolo di Jack Aubrey è stato affidato a Russel Crowe. Il film fu candidato a 10 premi Oscar e ne vinse due tra cui quello per la miglior fotografia.