lunedì 1 ottobre 2012

“Il re e il suo giullare” di Margaret George



Chi era Enrico VIII? L’immagine più irriverente che tutti hanno di Enrico VIII è quella di un grasso monarca che addenta una succulenta coscia di pollo. Tutti o quasi ricordano che si sposò per ben sei volte, condannò a morte per decapitazione due delle sue mogli e ne ripudiò altre tre. Molti ricordano anche che fu colui che promosse lo scisma anglicano proclamandosi capo della Chiesa inglese e che fu il padre della grande Elisabetta I, la figlia di Anna Bolena, una dei sovrani più popolari della storia inglese, che regnò dal 1558 al 1603.

 “Il re e il suo giullare – l’autobiografia di Enrico VIII annotata dal buffone di corte Will Somers” il libro di Margaret George è sì una biografia romanzata di Enrico VIII Tudor (1491 – 1547), ma nonostante siano presenti numerosi elementi di fantasia ed invenzione, è comunque nell'insieme un romanzo storicamente attendibile e molto ben documentato.
A dispetto della mole che può spaventare, siamo intorno alle 940 pagine, il libro è veramente ben scritto, la lettura è scorrevole ed interessante.
Il romanzo affronta il racconto della vita di Enrico VIII dalla sua nascita, narrandoci la sua infanzia, i rapporti con i genitori, il fratello e le sorelle, i suoi studi inizialmente indirizzati alla carriera ecclesiastica.
Il libro ci presenta un nuovo ed inedito Enrico VIII, non più solo un sovrano dispotico e sanguinario, ma un uomo con le sue paure e i suoi timori, le sue passioni e i suoi desideri. Un uomo che nonostante la sua continua ricerca di amore ed amicizia, è spesso un uomo solo come sono soliti esserlo gli uomini di potere. Un uomo che vive nel timore di essere l’eterno secondo: non solo secondo per successione al trono, ma anche nell’amore del padre che gli preferiva il fratello maggiore Arturo.
Un sovrano ansioso e preoccupato di morire senza lasciare un’impronta di sé e di essere dimenticato dai posteri.
Amori e tradimenti, pettegolezzi, matrimoni, lotte dinastiche, vittorie e sconfitte sono al centro di questo romanzo che, coinvolgendo il lettore fin dalle prime pagine, fa rivivere gli splendori e i fasti, le cospirazioni e gli intrighi alla corte del più famoso monarca d’Inghilterra.
Tra storia e finzione Margaret George ci regala un’interessante analisi psicologica di Enrico VIII, non tralasciando di approfondire i suoi rapporti con altri personaggi non solo politici dell’epoca e tracciando anche un quadro preciso dei rapporti che legavano Enrico alle sue sorelle, Maria e Margherita.
Un romanzo storico davvero ben strutturato, da leggere assolutamente soprattutto se appassionati del genere.


Perché nessun uomo dovrebbe essere felice di servirne un altro senza la speranza di un riconoscimento. Perché tutto è temporaneo, e questo monito della natura passeggera delle cose mi rattrista.


giovedì 20 settembre 2012

“Testamento” di Kritos Athanasulis

Non voglio che tu sia lo zimbello del mondo.
Ti lascio il sole che lasciò mio padre
a me. Le stelle brilleranno uguali, e uguali
t’indurranno le notti a dolce sonno,
il mare t’empirà di sogni. Ti lascio
il mio sorriso amareggiato: fanne scialo,
ma non tradirmi. Il mondo è povero
oggi. S’è tanto insanguinato questo mondo
ed è rimasto povero. Diventa ricco tu
guadagnando l’amore del mondo.
Ti lascio la mia lotta incompiuta
e l’arma con la canna arroventata.
Non l’appendere al muro. Il mondo ne ha bisogno.
Ti lascio il mio cordoglio. Tanta pena
vinta nelle battaglie del mio tempo.
E ricorda. Quest’ordine ti lascio.
Ricordare vuol dire non morire.
Non dire mai che sono stato indegno, che
disperazione m’ha portato avanti e son rimasto
indietro, al di qua della trincea.
Ho gridato, gridato mille e mille volte no,
ma soffiava un gran vento, e pioggia, e grandine:
hanno sepolto la mia voce. Ti lascio
la mia storia vergata con la mano
d’una qualche speranza. A te finirla.
Ti lascio i simulacri degli eroi
con le mani mozzate, ragazzi che non fecero a tempo
ad assumere austera forma d’uomo,
madri vestite di bruno, fanciulle violentate.
Ti lascio la memoria di Belsen e di Auschwitz.
Fa’ presto a farti grande. Nutri bene
il tuo gracile cuore con la carne
della pace del mondo, ragazzo, ragazzo.
Impara che milioni di fratelli innocenti
svanirono d’un tratto nelle nevi gelate
in una tomba comune e spregiata.
Si chiamano nemici: già! i nemici dell’odio.
Ti lascio l’indirizzo della tomba
perché tu vada a leggere l’epigrafe.
Ti lascio accampamenti
d’una città con tanti prigionieri:
dicono sempre sì, ma dentro loro mugghia
l’imprigionato no dell’uomo libero.
Anch’io sono di quelli che dicono, di fuori,
il sì della necessità, ma nutro, dentro, il no.
Così è stato il mio tempo. Gira l’occhio
dolce al nostro crepuscolo amaro.
Il pane è fatto pietra, l’acqua fango,
la verità un uccello che non canta.
È questo che ti lascio. Io conquistai il coraggio
d’essere fiero. Sfòrzati di vivere.
Salta il fosso da solo e fatti libero.
Attendo nuove. È questo che ti lascio.
(Traduzione di Filippo Maria Pontani)

Ho scoperto questa poesia per caso in una sera d’estate. Negli ultimi mesi Rai1 mandava in onda, subito dopo il TG, il programma “Techetechetè”, nuova versione del precedente “Da da da”, nel quale venivano trasmessi spezzoni della TV di ieri e di oggi. Ebbene quella sera uno dei protagonisti era Vittorio Gassman e tra i vari spezzoni che lo riguardavano uno in particolare mi ha colpita: la lettura di “Testamento” di Athanasulis. Un momento davvero intenso ed emozionante sia per la bravura di Vittorio Gassman sia per l’intensità del testo.
Ho fatto allora qualche ricerca su questo poeta purtroppo con scarsi risultati. Mi spiace soprattutto non aver trovato il video in cui Gassman recita la poesia, mi farebbe davvero piacere poterlo rivedere. 


Kritos Athanasulis (Tripoli, Arcadia 1917 – Atene 1979) è un poeta greco molto attento alle problematiche sociali e civili. Visse momenti difficili durante l’occupazione della Grecia da parte dei nazisti (1941 – 1944), periodo durante il quale si sviluppò una letteratura clandestina molto impegnata, e successivamente durante la dittatura che, dopo il 1967, costrinse al silenzio o all’esilio molti intellettuali suoi contemporanei.
In “Testamento”, pubblicato per la prima volta in Italia nella raccolta “Due uomini dentro di me” (1957), Athanasulis medita sulle dolorose esperienze vissute, sull’amarezza e sulla disperazione che il ricordo degli orrori della guerra portano inevitabilmente con sé, ma parla anche di speranza e di libertà, di quella libertà che è un valore assoluto e prioritario nella vita di ogni essere umano.

lunedì 17 settembre 2012

“Lo scandalo della stagione” di Sophie Gee


Ci troviamo in Inghilterra sotto il regno della regina Anna, sovrana di fede protestante ma discendente Stuart. I contrasti religiosi sembrano ormai superati, nonostante qualche Giacobita trami ancora nell’ombra per portare sul trono il cattolico Giacomo, al momento in esilio in Francia. Alla fine dell’estate dell’anno 1711, fervono i preparativi per la nuova season londinese, che si preannuncia ricca di divertimenti, feste in maschera, balli e nuove conoscenze: il futuro di molte giovani donne dipenderà dalla loro capacità di saper giocare bene le proprie carte (patrimonio, bellezza, astuzia…) per riuscire ad accalappiare un marito.
Sophia Gee prende spunto dal poema eroicomico “Il ricciolo rapito” (The rape of the lock) opera di Alexander Pope (1668 - 1744) pubblicata nel 1712 (versione definitiva pubblicata nel 1714) nel quale il poeta, facendo uso del “distico eroico” (metro tipico dello stile epico), narra le vicende della bella Arabella Fermor (Belinda nella poesia) e di Lord Petre. La vicenda, come si evince dal titolo stesso, è fondata sul ratto di una ciocca di capelli, o per essere più precisi di un ricciolo, che Lord Petre riesce a tagliare alla fanciulla. Belinda tenta di farsi rendere quanto le è stato rubato a tradimento, ma inutilmente; la ciocca di capelli, infatti, vola via nell’aria e si trasforma in una stella. Arabella Fermor e Lord Petre sono al centro dello scandalo della stagione raccontato nel libro della Gee. Tra i personaggi che prendono parte alla vicenda ritroviamo lo stesso Alexander Pope, il “rospo gibbuto”, che grazie alla sua forza d’animo attira immediatamente le simpatie del lettore. I difetti fisici del poeta vengono ben presto dimenticati: la totale mancanza di avvenenza, il colorito malaticcio, la schiena ricurva non sono più importanti; il lettore, totalmente assorbito e ammaliato dalla sua arguzia, dalla sua voglia di vivere, dalla sua vivacità intellettuale, si trova immediatamente a desiderare che egli possa ottenere quanto prima la fama, la ricchezza e l’amore di Teresa Blount a cui aspira così ardentemente. Teresa e la sorella minore Martha sono cugine della donna più desiderata di Londra, la famosa Arabella Fermor. Martha, una ragazza semplice e dotata di buon senso, è segretamente innamorato di Alexander Pope. Teresa, bella e impertinente, non possiede purtroppo le buone qualità della sorella, è una ragazza superficiale, ammira e invidia lo stile di vita della cugina Arabella e, nonostante sappia di essere priva di dote, aspira ugualmente ad un matrimonio al di sopra delle proprie possibilità. Amata da Pope, nutre per lui sentimenti di semplice stima ed affetto; da donna superficiale qual è, al contrario di Martha, guardando il poeta vede solo un uomo dallo sgradevole aspetto fisico.
Se dovessi definire il romanzo della Gee con un solo aggettivo credo lo definirei un romanzo “indeciso”. L’idea di prendere spunto dall’opera di Pope per la trama è davvero originale ed interessante, ma per il resto tutto sembra troppo abbozzato. E’ vero l’ambientazione storica, la descrizione delle feste, degli abiti, dei luoghi, della vita dell’epoca è dettagliata e precisa, ma la caratterizzazione dei personaggi è troppo superficiale, non c’è alcun approfondimento psicologico. È un libro che promette molto e mantiene poco. Possiede in sé un grande potenziale purtroppo inespresso: sembra, infatti, che Sophie Gee abbia fretta di concludere la storia, accenna tutto senza indagare nel dettaglio i rapporti interpersonali tra i personaggi, le motivazioni che li spingono ad agire in un modo piuttosto che in un altro e anche l’idea della congiura Giacobita a cui prende parte Lord Petre che potrebbe essere un capitolo importante del romanzo, si riduce alla fine ad uno sterile racconto privo di sostanza...
Con questo non voglio dire che “Lo scandalo della stagione” sia un libro illeggibile, scritto male; anzi in realtà l’ho trovato un libro scorrevole e piacevole. La delusione consiste nel fatto che avrebbe potuto essere un bellissimo romanzo storico e purtroppo il risultato è una lettura poco impegnativa, un libro “da leggere sotto l’ ombrellone”.
Devo comunque riconosce che l’autrice ha davvero una vasta conoscenza dell’epoca storica di cui parla e soprattutto con questo romanzo ha avuto il grande merito di incuriosire il lettore ed invogliarlo a leggere ”Il ricciolo rapito” di Pope.

martedì 28 agosto 2012

“La cena” di Herman Koch

“La cena è un romanzo teso, doloroso…politicamente scorretto…molto contemporaneo”. Così Daria Bignardi definisce il romanzo di Herman Koch.
Poche parole che colgono perfettamente l’essenza di questo libro che, in poco più di 250 pagine, riesce a trasformare il semplice racconto di uno spaccato di vita familiare in un thriller avvincente e spietato attraverso una narrazione dal ritmo serrato ed incalzante, spesso intervallata da flashback che aiutano il lettore a comprendere meglio la psicologia dei vari personaggi e a mettere a fuoco ciò che si cela dietro la maschera che ognuno di loro indossa.
Ho letto questo libro su suggerimento di un’amica che lo aveva recensito per il suo canale video (www.youtube.com/user/pennylane1202) e devo ammettere che mi ha davvero sorpresa, è un romanzo assolutamente da leggere!
Il consiglio è di affrontare la lettura senza conoscere le vicende che verranno narrate e, se si è in grado di resistere, senza leggere il riassunto sul retro della copertina dove vengono svelati troppi particolari che rovinerebbero la suspense, creata dall’autore in modo perfetto, nell’attesa di conoscere “il fatto” sul quale è costruito tutto il romanzo.
Cercando di anticipare il meno possibile, posso dire che il racconto, intervallato con perfette scelte tempistiche e narrative da flashback che portano il lettore a conoscenza degli avvenimenti precedenti, si svolge nell’arco di una cena (da qui la suddivisione dei vari capitoli in aperitivo, antipasto, secondo piatto, dessert, digestivo e mancia) in uno dei migliori ristoranti di Amsterdam.
A tavola siedono due coppie, due fratelli con le rispettive mogli: lo scopo della riunione di famiglia è discutere di un “reato” commesso dai due figli quindicenni, Michael e Rick.
I genitori di Michael, Paul Lohman (io narrante), un professore di storia in pensione anticipata, e Claire, una donna apparentemente serie ed affidabile, sono presentati come una coppia affiata e positiva, che crede nei valori della famiglia. I genitori di Rick, sono invece da subito proposti come una coppia piena di contrasti e sin dalle prime pagine si ha un’impressione negativa di entrambi: lui, Serge Lohman candidato, con ottime possibilità di vittoria, alle elezione di Primo Ministro, è un uomo “finto”, dai “mille volti”, la cui esistenza è basata solo sull’apparenza; lei, Babette, è una donna frivola e superficiale, interessata esclusivamente alla carriera politica del marito per poter vivere di luce riflessa e ricoprire il ruolo di First Lady.
Procedendo con la lettura ci si rende conto che l’apparenza inganna, pagina dopo pagina, l’autore ci lascia percepire che non tutto è come sembra e così la coppia perfetta vacilla davanti agli occhi del lettore. Quelle persone che sembravano tanto responsabili, politicamente corrette non sono poi così oneste e sincere come erano sembrate all’inizio del libro, il castello di carte inizia a scricchiolare; quella coppia per cui si è provata una simpatia immediata non è per nulla innocente, ma è invece cinica e violenta. Allo stesso tempo l’altra coppia, dalla facciata perbenista e snob, che sembrava essere tanto sprezzante ed opportunista, diventa quasi una coppia di persone “normali” con i loro difetti e le loro colpe che agli occhi del lettore a questo punto diventano quasi peccati veniali. L’autore ci fornisce un tassello dietro l’altro e, svelando di volta in volta particolari del vissuto di ognuno dei protagonisti, ci permette di mettere a fuoco una verità che nessuno avrebbe immaginato.
Mi fermo qui, non posso dire di più per non rovinare il piacere della lettura e della scoperta che, come ho già detto, è fondamentale in questo romanzo sconvolgente ed inquietante.
Cosa è morale e cosa non lo è? A quali compromessi saremmo disposti a scendere pur di proteggere i nostri figli? Quanto è importante la felicità? Quali reati commetteremmo pur di vivere serenamente? Saremmo disposti anche ad uccidere, a rubare, ad ingannare il prossimo pur di salvaguardare noi stessi e le persone a cui vogliamo bene?
“La cena” è un romanzo che fa pensare, che pone interrogativi ai quali è difficile dare risposte, una realtà quotidiana e scomoda che non vorremmo mai dover affrontare.
Questo libro è un pugno nello stomaco, fa male per la sua freddezza, il suo squallore e la sua autenticità ma serve a farci riflettere; il mondo descritto in questo libro è il mondo in cui viviamo, non è fantascienza è vita vera, è un dramma contemporaneo.
Un romanzo davvero affascinante e perverso, che per ambientazione, dialoghi e descrizioni dettagliate della psicologica dei personaggi sarebbe perfetto per un lavoro teatrale.

lunedì 20 agosto 2012

“Barry Lyndon” di William M. Thackeray (1818-1863)


Thackeray diede inizio alla stesura di “Barry Lyndon”, pubblicato a puntate nel 1844 sul Fraser’s Magazine, quattro anni prima della pubblicazione del romanzo che gli diede la fama “La fiera della vanità”.
Nell’edizione BUR che ho acquistato c’è una breve descrizione del libro a cura di Flavio Santi che riporto di seguito:
“Ecco la dimostrazione lampante che il Settecento contiene già l’intera modernità. Tutta questa adrenalina fatta di fughe, duelli, amori, peripezie non è cinema puro? Non sono i fotogrammi di una pellicola in anticipo di due secoli sui Lumiere? Una volta tanto non dovrete incollarvi allo schermo: lasciatevi trascinare dalle avventure di Redmond Barry. Il romanzo è uno strepitoso technicolor di parole ed emozioni”.
Confesso che, nonostante l’evidente errore di attribuzione errata del romanzo al Settecento, questa descrizione ha attirato la mia curiosità e ha contribuito a far sì che leggessi il libro. Dopo averlo letto però mi è venuto spontaneo chiedermi se le parole di Santi siano davvero una descrizione del romanzo o non siano state piuttosto ispirate dalla visione del film che Stanley Kubrick ha liberamente tratto dal romanzo stesso. Ammetto di non aver ancora  avuto occasione di vedere il film, ma spero di colmare presto questa lacuna, sono infatti piuttosto curiosa di conoscere che taglio il regista abbia dato alla storia e di sapere come risulti la vicenda riportata sul grande schermo.
Tornando al libro, devo ammettere che l’ho trovato terribilmente noioso e lento, un monotono susseguirsi di aneddoti e racconti monotematici (gioco d’azzardo, donne sedotte, corti europee e campagne militari) relativi alla vita del protagonista. Scritto come un’autobiografia, il romanzo narra in prima persona le vicende di Barry Lyndon, un personaggio d’invenzione, ispirato alla figura dell’irlandese Andrew Robinson Bowes, la cui pessima reputazione e la cui cattiva condotta si adattano perfettamente al protagonista del romanzo di Thackeray. Le vicende di Andrew Robinson Bowes forniscono all’autore solamente gli elementi essenziali del romanzo, entrambi i personaggi infatti, sia quello reale che quello di pura finzione letteraria, appartengono alla piccola borghesia irlandese ed entrambi attraverso il matrimonio vengono elevati al rango nobiliare oltre ad ottenere un consistente patrimonio sposando delle ereditiere che alla fine si riveleranno più scaltre dei mariti riuscendo a metterli fuori gioco. Entrambi dilapideranno la fortuna delle consorti e saranno oppressi dai debiti di gioco, ma nelle pagine del romanzo, Barry Lyndon sarà anche un giocatore d’azzardo di professione oltre ad essere il protagonista di una discutibile carriera militare.

Forse, nel corso delle mie molteplici avventure non mi sono mai imbattuto nella donna adatta per me, e ho dimenticato, poco dopo, tutte le creature che avevo adorato; ma credo che, se mi fossi imbattuto in quella giusta, l’avrei amata per sempre.

Acquistare qualche migliaio di sterline l’anno a costo di una moglie odiosa è un pessimo investimento per un giovane di spirito e di talento.

Barry Lyndon è un personaggio irritante e senza scrupoli, è un antieroe. In un periodo storico in cui gli autori scrivono romanzi di formazione quello di Thackerey è tutto l’opposto.
Il lettore fin dalle prime pagine, ben guidato in tal senso da Thackeray, prova una sorta di diffidenza nei confronti del protagonista che si rivela da subito un personaggio antipatico e irriverente. Nel racconto della sua storia, dall’ascesa sino al suo declino, Barry Lyndon, distorce continuamente i fatti, non provando alcuna vergogna. Non cerca mai scuse per il suo comportamento scorretto e se, in rari casi, è costretto dagli eventi a cercare una sorta di giustificazione, lo fa con una naturalezza al limite dell’imbarazzante: la colpa è sempre degli altri.
Scrive le sue presunte memorie dalla prigione di Fleet ma non guarda al suo passato con tristezza, né con rimorso, la sua persona è tutto ciò che conta, l’attenzione è sempre puntata su sé stesso e il suo declino non è altro che la prova delle sue conquiste del passato.

Ma come è mutevole il mondo! Quando consideriamo quanto grandi ci sembrano i nostri dolori e quanto sono piccoli nella realtà; quante volte pensiamo di essere sul punto di morire di dolore e quanto rapidamente dimentichiamo tutto, penso che dovremo vergognarci di noi stessi e della mutevolezza del nostro cuore.

Thackeray dimostra di essere un profondo conoscitore dell’animo umano nonché un capace scrittore di satire; Barry Lyndon è indubbiamente un personaggio ben riuscito secondo l’intento moralistico prefissatosi dall’autore, servendosi di sarcasmo ed ironia Thackeray crea un personaggio che noi oggi potremmo definire uno snob. Attraverso la descrizione di quest’uomo privo di morale inoltre Thackeray mette in guardia i lettori da una società corrotta, dissoluta e ipocrita abitata da uomini privi di scrupoli, disonesti e depravati.

I grandi e i ricchi sono sempre ben accolti con grandi sorrisi sullo scalone del mondo, ma i poveri che hanno aspirazioni debbono arrampicarsi sulle pareti, o spingersi lottando sulle scale di servizio, o strisciare come talpe lungo le fogne della casa, non importa se sporche o strette purché portino in alto. I pigri senza ambizioni asseriscono che non vale la pena di arrivare in cima, abbandonando la lotta dichiarano di essere filosofi. Io dico che sono codardi poveri di spirito. A che cosa serve la vita se non per ottenere onori? E questi sono tanto indispensabili che vogliamo raggiungerli ad ogni modo.

Osare e il mondo si arrende sempre o, se qualche volta vi sconfigge, osate ancora ed esso soccomberà.

Questo romanzo è stata una delusione rispetto alle mie aspettative, il ritmo lento e la storia ripetitiva e monotona ne fanno un libro terribilmente noioso; mi aspettavo molto di più dall’autore di un capolavoro quale “Vanity Fair”. Il personaggio di Barry Lyndon è davvero troppo indisponente, ma il romanzo lascia però intravedere la grande capacità di Thackeray di descrivere l’animo umano, la sua visione cinica della società dove non sono sempre il bene e la virtù a prevalere.
Se volete leggere qualcosa esclusivamente per distrarvi e passare qualche ora lieta, vi consiglio di leggere un altro libro; da leggere assolutamente invece se desiderate conoscere più a fondo l’autore e le sue opere perché Barry Lyndon è un abbozzo del personaggio ben più riuscito di Becky Sharp (La fiera delle vanità), un’arrampicatrice sociale, priva di scrupoli e principi, che riuscirà a raggiungere il successo manipolando il prossimo. Becky Sharp come Barry Lyndon è fredda e calcolatrice, egoista ed arrivista, ma al contrario di Lyndon ha anche dei pregi: è una donna intelligente e colta mentre Lyndon disprezza la cultura e deride, guardandolo dall’alto in basso, chiunque la possieda. Becky sa riconoscere le proprie sconfitte e soffre quando deve cedere a bassi compromessi perdendo tutto ciò che ha guadagnato; solo lei è la causa dei suoi mali ed il lettore non può certamente giustificarla, ma è comunque portato a volte a provare un po’ di compassione nei suoi confronti. Non ci può essere nessun sentimento di pietà invece da parte del lettore per Barry Lyndon che è talmente sicuro di sé da non riconoscere neppure la propria caduta; il suo atteggiamento ed i suoi modi lo rendono un personaggio insopportabile, odioso ed irritante dalla prima all’ultima pagina.

lunedì 23 luglio 2012

“La Vergine azzurra” di Tracy Chevalier


Primo romanzo scritto da Tracy Chevalier, è stato pubblicato in Italia per la prima volta dopo il grande successo ottenuto dall’autrice con “La ragazza con l’orecchino di perla”.
Le vicende narrate in questo libro, come in tutta la produzione letteraria della Chevalier, sono inserite in un preciso momento storico descritto dettagliatamente che ci permette di conoscere non solo l’epoca di riferimento ma anche i particolari che caratterizzano i luoghi in cui la storia è ambientata.
A differenza degli altri però, in questo libro, il racconto si svolge in due epoche differenti, il passato (XVI secolo) e il presente: abbiamo così due storie parallele che si svolgono su due piani temporali diversi e che mantengono la loro indipendenza nei vari capitoli, svelandoci pagina dopo pagina indizi (il cognome Tournier/Turner, la professione levatrice/ostetrica) e punti di contatto (il colore dei capelli, la psoriasi, l’attrazione provata per un “altro” uomo), fino a convergere e sovrapporsi nel finale.
Il racconto inizia nel XVI secolo in un villaggio della Francia, Isabelle Du Moulin è una giovane dai capelli rossi che, proprio per questa sua caratteristica fisica, viene soprannominata “la Rossa”, nome dato anche alla statuetta della Vergine posta nell’edicola sul portale della chiesa del paese.
Un giorno arriva in paese un predicatore calvinista, Monsier Marcel, che con i suoi sermoni infiamma a tal punto gli animi degli abitanti del villaggio che questi, accecati dal fanatismo religioso, abbracciano totalmente e senza riserve la Riforma. Isabelle che già prima era vista con sospetto dai suoi compaesani per il colore dei capelli e per la professione della madre, una sage-femme, spesso sospettata di essere una strega, è costretta anch’essa alla conversione al calvinismo. Calvino sosteneva che i fedeli dovessero rivolgersi direttamente a Dio, non riconoscendo più il valore delle preghiere rivolte ai Santi e alla Madonna. Isabelle, per essere accettata dalla nuova comunità religiosa, è costretta a compiere un gesto estremo: distruggere con un rastrello la statuetta della Vergine Maria. Nonostante tutto però la ragazza non riuscirà mai ad dimenticare la dottrina della sua infanzia e segretamente continuerà a professare il cattolicesimo e ad essere devota al culto della Madonna. Isabelle, rimasta incinta di Etienne Tournier, un giovane fanatico, violento e succube della madre, diventerà sua moglie legando così la propria vita ed il proprio destino alla famiglia Tournier. Quando anni dopo, nella famosa notte di San Bartolomeo, i cattolici attaccheranno il villaggio per dare la caccia ai nobili ugonotti ed ai loro servi più fedeli, Isabelle con il marito, i tre figli (il crudele e coraggioso Petit Jean, il taciturno Jacob e la prediletta Marìè) insieme alla perfida suocera, sarà costretta a fuggire in Svizzera.
L’altra vicenda, quella che si svolge nel presente, vede protagonista Ella Turner, una giovane ostetrica americana, giunta in Francia dove ha deciso di trasferirsi con il marito Rick, un giovane architetto, che ha appena accettato un lavoro presso uno studio di Tolosa.
Ella nonostante le sue origini francesi, ha difficoltà ad ambientarsi nel nuovo paese non riuscendo a farsi accettare dai suoi nuovi concittadini, le stesse difficoltà che secoli prima aveva avuto Isabelle, la Rossa. Visto il molto tempo libero a disposizione, decide di prendere lezioni di francese e dedicarsi alla ricerca dei suoi antenati. Inizierà così un periodo di consultazione di biblioteche e archivi che la condurrà fino in Svizzera per fare la conoscenza di alcuni cugini di cui fino a pochi mesi prima ignorava l’esistenza. Tra le varie persone incontrate una su tutte sconvolgerà la sua vita, Jean Paul, un bibliotecario che la porterà ben presto a mettere in discussione non solo il suo metodo di indagine e le sue aspettative, ma anche il suo matrimonio.
Il punto di contatto tra la vicenda che si svolge nella metà del Cinquecento e quella del XX secolo è il sogno di Ella. Quando infatti quest’ultima, di comune accordo con il marito, decide di avere un bambino, improvvisamente inizia ad essere perseguitata da uno strano ed inquietante sogno che di volta in volta diviene più nitido fino a farle apparire una veste azzurra, di un azzurro luminoso e cupo allo stesso tempo. Durante le sue ricerche ritroverà la tonalità di quel colore nel manto di una Madonna raffigurata in un quadro del Seicento dipinto da Nicolas Tournier.
Nicolas Tournier è in effetti un pittore francese, realmente esistito, che nel periodo dal 1619 al 1626 visse a Roma, dove subì l’influenza delle opere del Caravaggio.
Il sogno è il vero  filo conduttore della vicenda che aiuta a svelare il legame che unisce le due donne: Isabella ed Ella.
Confesso che all’inizio questo romanzo mi è sembrato piuttosto lento e noioso, stentava a decollare e, in maniera inaspettata, la mia attenzione è stata risvegliata solo nel momento in cui ho iniziato a leggere il primo dei capitoli ambientati nell’epoca contemporanea.
Dopo un primo momento di comprensibile smarrimento, sono riuscita ad entrare nella storia ed alla fine devo ammettere che ho trovato questo libro una lettura piacevole.
Molti romanzi sono ambientati in diverse fasi storiche, sia che le vicende si svolgano tra passato e presente o più semplicemente si sviluppino nel corso dei secoli, non è quindi la struttura del romanzo in sé che mi ha stupita quanto piuttosto il fatto che Tracy Chevalier, la scrittrice di libri quali “L’innocenza” e “Strane creature” ne abbia fatto uso.
Questo libro non ha forse lo spessore degli altri romanzi, a volte può risultare anche un po’ banale e ingenuo, ma nell’insieme è un romanzo dalla scrittura scorrevole e dalla trama originale e piuttosto inquietante, insomma un bel mix di storia e mistero.

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sabato 7 luglio 2012

“Via col vento” di Margaret Mitchell (1900 – 1949)


Universalmente riconosciuto come uno dei capolavori del cinema, spesso ci si dimentica che “Via col vento” è prima di tutto un romanzo o meglio un classico della letteratura moderna americana. “Gone with the wind” (titolo che riprende un verso di una poesia datata 1891 di Ernest Dowson (1867-1900)  intitolata “Cynara”) fu pubblicato nel 1936 ed ebbe subito uno strepitoso successo di pubblico, regalando alla sua autrice Margaret Mitchell il premio Pulitzer nel 1937 e  la candidatura al premio Nobel per la letteratura nel 1938. A seguito del sorprendente numero di copie vendute, un caso senza precedenti 176.000 copie in meno di un mese, iniziarono quasi immediatamente le trattative col produttore cinematografico David O. Selznick per poter portare la storia sul grande schermo. Il film, prodotto dalla Metro Goldwyn Mayer, uscì nelle sale cinematografiche statunitensi nel 1939.

“Via col vento” è ambientato nel Sud degli Stati Uniti nel periodo della Guerra Civile. La storia ha inizio nell’aprile del 1861 a Tara, la piantagione di proprietà della famiglia O’Hara, dove la sedicenne Rossella O’Hara sta allegramente flirtando con i giovani Tarleton che le rivelano che il giorno successivo alle Dodici Querce, in occasione del pic-nic e del ballo, verrà annunciato il fidanzamento di Ashley Wilkes con la cugina Melania Hamilton. Il giorno dopo Rossella, segretamente innamorata di Ashley decide di dichiararsi ma viene rifiutata da quest’ultimo. Delusa e indispettita Rossella si accorge che Retth Butler ha assistito alla dichiarazione; umiliata e offesa la ragazza ha il primo di una lunga serie di scontri verbali con l’uomo di Charleston appena conosciuto. Nel frattempo scoppia la guerra e, poiché Ashley deve arruolarsi, il matrimonio viene anticipato; Rosella per ripicca decide di sposare il fratello di Melania, Carlo Hamilton. Il matrimonio ha una durata brevissima, Carlo parte quasi immediatamente per la guerra e muore poco dopo a causa di una malattia, lasciando la moglie vedova e madre del piccolo Wade. Rossella si trasferisce ad Atlanta dalla cognata a casa della zia di quest’ultima, zia Pittypat ma mal sopporta il suo stato di vedovanza e non manca di dare scandalo danzando in pubblico con il capitano Butler ad una festa di beneficienza. La guerra arriva ad Atlanta proprio quando Melania deve dare alla luce il figlio di Ashley, Beau. Mentre i Nordisti mettono a ferro e fuoco la città, Retth corre in soccorso delle due donne e, dopo aver rubato un vecchio ronzino e un carro, le conduce fuori da Atlanta. Da qui le donne proseguiranno in compagnia dei figli e della bambinaia, la sciocca ed impreparata Prissy, verso Tara. La situazione è disperata: la piantagione è in rovina, la madre di Rossella, Mrs Elena è morta ed il padre Mr. Geraldo è impazzito per il dolore. Rossella prende in mano le redini della situazione, rendendosi da subito conto di essere l’unica in grado di sopportare il pesante fardello. Nel 1865, finita la guerra, Ashley torna a casa e raggiunge Melania ed il figlio a Tara. Nel tentativo di superare le difficoltà economiche, Rossella si reca da Retth, ma questi in carcere con l’accusa di aver rubato i soldi dei Confederati, non può concederle il prestito. Pressata dall’urgenza di dover pagare le tasse, per non perdere Tara, Rossella decide di contrarre un matrimonio di interesse e sposa Frank Kennedy, fidanzato con una delle sue sorelle, proprietario di un emporio ed in procinto di allargare il suo giro di affari con l’acquisto di una segheria. Da questo secondo matrimonio nascerà una bambina di nome Ella. Rossella, approfondisce giorno dopo giorno la conoscenza con Retth, e alla fine il capitano Butler decide di prestarle il denaro per l’acquisto della segheria permettendo così alla donna di sottrarre l’affare al marito. Dopo la morte di Geraldo O’Hara, Ashley accetta la compartecipazione della segheria offertagli da Rossella e si trasferisce così ad Atlanta con la famiglia. Frank Kennedy rimane ucciso durante un’azione armata, nella quale lo stesso Mr Wilkes rimane ferito, contro degli sbandati che hanno assalito Rosella mentre si recava al lavoro. Questa, rimasta nuovamente vedova, accetta di sposare Retth. Il matrimonio all’inizio sembra funzionare, Retth vizia Rossella e soddisfa ogni suo capriccio (feste, gioielli, la costruzione di nuova casa arredata fastosamente ecc.) ma la lei non ha mai dimenticato Ashley e nel suo cuore continua a sperare di poter coronare un giorno il suo sogno d’amore. Retth riversa quindi il suo affetto sulla bambina nata dall’unione con Rosella, Diletta. Quando però la bambina muore, a seguito di una caduta da cavallo, il matrimonio naufraga definitivamente. A questa tragedia fa seguito quasi immediatamente una nuova disgrazia, la morte di Melania. L’amore tra Ashley e Rossella sembra a questo punto non avere più ostacoli, ma proprio in questo momento la donna si rende conto che il suo amore per Ashley non esiste più o meglio era solo un’infatuazione infantile ormai completamente superata, l’unico che lei abbia amato ed ama è suo marito.

“Non è mai esistito veramente, se non nella mia fantasia” pensò con tristezza. “Ho amato qualche cosa costruita da me, qualche cosa che è morta con Melania. Ho fatto un bel fantoccio e me ne sono innamorata. E quando Ashley venne a cavallo, così bello, così diverso, gli misi gli abiti del fantoccio e glieli feci portare, gli andassero bene o no. E non ho mai voluto vederlo come era in realtà. Ho continuato ad amare il fantoccio… ma non lui.”
 
Consapevole ormai dei suoi veri sentimenti, corre a casa per dichiarare il suo amore a Retth, ma ormai è troppo tardi. Il capitano Butler stanco di lottare, la lascia. Rossella non si dà per vinta ed il libro, come il film, si conclude con la celebre frase:

“Penserò a tutto questo domani, a Tara. Sarò più forte, allora. Domani penserò al modo di riconquistarlo. Dopo tutto, domani è un altro giorno”.

A grandi linee ecco la trama di questo lunghissimo romanzo (872 pagine nell’edizione Oscar Mondadori) che, nonostante la mole, risulta scorrevole e avvincente, mai scontato o noioso. La trasposizione cinematografica, pur con una durata di 3 ore e 40 minuti, presenta inevitabilmente il taglio di alcune parti del racconto, perdendo così la completezza e la ricchezza di particolari che sono presenti nel libro. Il film ha dato particolare risalto alla storia d’amore tra Rossella e il capitano Butler, tanto che molte scene sono incentrate su questi due personaggi magistralmente interpretati da Vivien Leigh e Clark Gable.
Ci si è spesso interrogati nel corso degli anni se “Via col vento” sia da ritenersi un romanzo d’amore oppure un romanzo storico. Il libro effettivamente può essere letto sia come una storia d’amore sia come un resoconto storico della Guerra di Secessione e della successiva ricostruzione. Margaret Mitchell, dichiarò di aver pensato spesso allo sfondo storico di “Via col vento” senza però l’intenzione di inserirlo in un romanzo. Quando il libro fu accettato dall’editore il più grande timore dell’autrice fu proprio quello di aver commesso qualche errore di carattere storico; il suo lavoro però risultò così dettagliato e minuzioso da essere apprezzato persino da Henry Steele Commager, noto storico della Columbia University. Benché spesso l’interesse del pubblico e quello della critica sia stato attratto nel corso degli anni soprattutto dall’intreccio della vicenda sentimentale, Margaret Mitchell riteneva il suo libro il romanzo del Sud, dove Rossella O’Hara doveva essere la personificazione di Atlanta, il simbolo della caduta e della capacità di rialzarsi della città stessa. Il filo conduttore del romanzo è il mito del vecchio Sud e dell’innocenza perduta oltre ad un messaggio di speranza con cui affrontare i problemi della ricostruzione. Messaggio che fu ben accolto dal pubblico contemporaneo che aveva ancora un vivo il ricordo delle vicende storiche narrate nel romanzo e che, negli anni Trenta, era proprio all’inizio della ricostruzione del paese reduce dalla Grande Depressione.
Non tutta la critica fu ovviamente benevola nei confronti del romanzo non mancarono detrattori che accusarono la Mitchell di aver appoggiato valori di un mondo scomparso, di aver dato alla storia un alone mitico e troppo romantico; non mancarono inoltre critici che la accusarono di appoggiare troppo apertamente la causa sudista.
Margaret Mitchell non solo è riuscita a creare un affresco storico dettagliato e fedele alla realtà dell’epoca in cui si volgono le vicende ma ha avuto anche la grande capacità di renderlo vivo attraverso la descrizione dei suoi numerosi personaggi. Tutti, che siano protagonisti oppure semplici figure di passaggio, sono descritti con estrema precisione, e pur trattandosi di personaggi di pura finzione letteraria sembrano persone “vive” e reali.
Oltre a Rossella, la vera protagonista del romanzo, gli altri personaggi principali sono Ashley Wilkes, Melania Hamilton e Retth Butler; ognuno di essi rappresenta un modo diverso di affrontare il cambiamento, in un nuovo mondo dove o si hanno delle capacità di adattamento o inevitabilmente si soccombe.
Rossella è all’inizio del romanzo una ragazzina egoista e capricciosa, “troppo giovane e viziata per aver mai saputo che cosa fosse una sconfitta”. Vive circondata dall’affetto della sua inseparabile Mammy e da quello dei suoi genitori: la dolce e gentile Mrs Elena, della nobile famiglia dei Robillard, e Mr Gerardo O’Hara, un irlandese giunto in Georgia senza un soldo e che ha costruito con le proprie mani il suo impero, un uomo all’apparenza burbero e collerico, ma in realtà un’ottima persona. Rossella è circondata, grazie al suo carattere frivolo e civettuolo, da una moltitudine di giovani pretendenti, ma proprio per queste sue caratteristiche non è in grado di avere amicizie femminili ed ha un pessimo rapporto persino con le sorelle.
Retth Butler è un personaggio che può essere considerato il pendant maschile di Rossella, il capitano è una simpatica canaglia, una persona che non si trattiene dal dire quello che pensa qualunque siano le conseguenze, una persona che non si fa scrupoli per il proprio tornaconto. Entrambi si curano poco o nulla delle convenzioni sociali e delle buone maniere, ma mentre Rossella è mossa solo da egoismo, ogni sua azione anche meritevole viene da lei compiuta sempre in previsione di ottenere qualcosa che desidera, Retth dimostrerà in più di un’occasione di possedere gentilezza e bontà d’animo.

“Dite delle cose scandalose!”
“Scandalose e vere. Purché si abbia coraggio… e denaro, si può fare a meno della reputazione.”

Entrambi però, pur restando nei loro cuori fedeli al Sud, non si fanno scrupolo di sfruttare a loro beneficio la situazione venutasi a creare nel paese e, senza alcun senso di colpa, non disdegnano di far affari e frequentare i loro “conquistatori” pur non condividendone modi ed opinioni. Alla fine però Retth risulterà più debole di Rossella che dimostrerà fino all’ultimo una forza di carattere straordinaria. Nella loro storia d’amore il capitano Butler soccomberà davanti alla capricciosa e indomita Rossella, al punto di darsi per vinto e abbandonarla nonostante ne sia stato suo malgrado innamorato. Anche davanti alla morte dell’adorata figlia, Diletta, mentre Rossella sconvolta dal dolore riesce comunque ad elaborare il lutto, Retth cade in una profonda depressione che lo porta quasi alla follia. Rispetto al film, il libro mette in maggiore evidenza i punti deboli del carattere del capitano Butler indagando molto più a fondo i suoi sentimenti e mettendo in evidenza i suoi errori di gioventù ed i rapporti con la sua famiglia; il romanzo riesce quindi a darci un quadro più completo della sua complessa personalità.
Retth Butler è un personaggio bellissimo, dolce, forte, contradditorio ed amabile, non si può non innamorarsi di lui fin dalla sua prima apparizione; nessuno in cuor suo può capire perché Rossella sia così ottusa da non rendersi conto subito che Retth vale mille volte di più del “decadente” Ashley… Rossella invece o la si ama o la si odia, non esistono mezze misure nei sentimenti che si possono provare verso di lei, resterà fino alla fine una bambina frivola e viziata, spesso irritante, ma darà prova di una forza di volontà, di una pronta intelligenza, di una scaltrezza che non la si può comunque che ammirare al di là di essere d’accordo o meno con i suoi metodi. Rossella ama solo se stessa e Tara, ma anche l’amore per Tara è in fin dei conti un amore egoistico, perché da buona irlandese, figlia di Mr Geraldo O’Hara, da quella terra riesce a trarre non solo sostentamento ma anche la forza per affrontare le avversità e i momenti bui della vita:

“La terra è la sola cosa al mondo che valga qualche cosa” urlò Geraldo, e le sue braccia corte e grosse facevano grandi gesti di indignazione “perché è la sola cosa al mondo che rimane e, non dimenticarlo! La sola per cui valga la pena di lavorare, di lottare…di morire”.

L’altra coppia, quella formata da Ashley e Melania, è la coppia rivolta al passato. Melania è una donna apparentemente debole, ma che proprio grazie alla sua debolezza riesce ad essere fonte di forza per tutti coloro che ruotano intorno a lei: il marito, Rossella e lo stesso Retth che ha per lei un rispetto incondizionato. Melania ama Rossella come una sorella, non concepisce il tradimento e la cattiveria perché sono lontani dal suo cuore, non può vedere il male perché per lei il male non esiste. Pur nella sua debolezza dimostra più di una volta la forza di una tigre quando si tratta di difendere le persone che ama. Melania continua a vivere nel passato pur rendendosi conto che le cose sono cambiate, ma riesce a farlo con il sorriso, nel cambiamento preferisce accontentarsi del poco che le rimane pur di non soccombere e dimenticare se stessa, le proprie idee e la propria identità. Nel libro Melania è un personaggio positivo e, anche se a volte la sua infinita bontà risulta un po’ imbarazzante e al limite della credibilità, è una persona vera con sentimenti veri, paure e preoccupazioni come ogni altro. Nel film invece il suo è un personaggio stucchevole e ne viene data l’immagine che ne ha Rossella cioè quella di un’inutile bambola di porcellana, senza tener conto della vera personalità di Melania né dell’opinione che le persone che la circondano hanno di lei.
Ashley Wilkes, nel libro come nel film, è l’opposto di Rossella. Lei è una donna piena di vita, vivace, allegra ma priva di cultura; lui è invece un uomo colto, che ha viaggiato nel vecchio continente, i cui principali interessi sono l’arte, la letteratura, la poesia, ma è anche una persona che vive in un mondo tutto suo, è un sognatore, un uomo che passa le sue giornate a riflettere, che ama pensare, ma non agire.

 “egli viveva in un mondo interiore molto più bello della Georgia, e tornava malvolentieri alla realtà”.

Ashley è l’emblema di chi non è riuscito ad affrontare il cambiamento, lui che aveva sempre vissuto in una realtà tutta sua, non riesce a trovare né la volontà né la forza di adattarsi al nuovo mondo. Vive aggrappandosi al passato e, come un parassita, trae sostentamento e forza da sua moglie Melania e da Rossella che lo accudiscono come se fosse un bambino.

“Ashley è un bravissimo uomo!” lo difese Rossella con fervore.
“Non ho mai detto il contrario; ma è bisognoso di aiuto come una tartaruga coricata sul dorso. Se la famiglia Wilkes riesce a superare questo periodo difficile, è perché c’è Melania che vince le difficoltà; non Ashley”.

Ormai disilluso comprende di essere stato sconfitto dalla vita, è quando muore la moglie resta solo un uomo terrorizzato, smarrito e debole.
Ho visto il film innumerevoli volte e ogni volta è stata un’emozione, per questo motivo per molto tempo sono stata restia a leggere il libro, temevo che potesse essere una delusione. Ora posso dire che mi spiace non aver letto prima il romanzo. Per quanto possa essere intrigante ed interessante, il film non eguaglierà mai la completezza e la ricchezza del libro. Come ho già sottolineato precedentemente alcune parti nel film sono state tagliate, perdendo così non solo il racconto della maggior parte degli avvenimenti storici dell’epoca, come il racconto di alcune celebri battaglie o i riferimenti al Ku Klux Klan, e la possibilità di conoscere molti personaggi secondari interessanti che non figurano sul grande schermo come ad esempio Mrs Tarleton, Cade Cavet, Franco Picard, i figli di Rossella Wade ed Ella avuti rispettivamente dal Carlo Hamilton e da Frank Kennedy, e molti altri come lo zio Pietro, Dilcey, Will Benteen… ma soprattutto nel film non abbiamo nessun riferimento alle interessantissime pagine che raccontato la storia di Mr O’Hara e della bella e nobile Elena Robillard. Inoltre ci sono alcuni punti del film che hanno decisamente semplificato la storia, come la morte di Geraldo O' Hara avvenuta sì per una caduta da cavallo, ma in circostanze ben diverse da quelle raccontate sul grande schermo…
Basta, mi fermo qui, ho già anticipato troppe cose! Se avete amato il film dovete leggere assolutamente il libro!
Un’ultima cosa: il romanzo merita davvero di essere letto, ma dovrete avere tanta pazienza per la traduzione (mi riferisco all’edizione Classici Moderni Oscar Mondadori), incontrerete infatti moltissime frasi dove le scelte dei tempi e dei modi verbali sembrano essere estratte a caso da un bussolotto…qualche esempio?

Se sorridere, civettare ed essere sventate poteva attrarlo, civetterebbe con piacere e sarebbe più sventata di Caterina Calvert. E se erano necessarie misure più ardite, ebbene! Le prenderebbe.

oppure

Sapeva che, se cominciasse, piangerebbe come quella volta nella criniera di cavallo, durante la tremenda notte della caduta di Atlanta (…)