martedì 1 novembre 2016

“Amo la notte con passione” Guy De Maupassant

AMO LA NOTTE CON PASSIONE
di Guy De Maupassant
IL SOLE 24 ORE
Guy De Maupassant (1850 – 1893) è autore conosciuto soprattutto per i suoi romanzi, tra cui forse i più famosi sono Una Vita e Bel-Ami.
L’erede spirituale di Flaubert in realtà fu anche un prolifico autore di racconti, sono infatti più di trecento quelli che vennero pubblicati.

“Amo la notte con passione” è una raccolta di sei brevissimi racconti che, come si evince dal titolo stesso, hanno in comune l’ambientazione notturna.

“La notte” primo racconto con cui si apre la raccolta inizia con una dichiarazione d’amore alle ore notturne:

Amo la notte con passione. L’amo come si ama il proprio paese o la propria amante, d’un amore istintivo, profondo, invincibile. L’amo con tutti i miei sensi, con i miei occhi che la vedono, il naso che la respira, le orecchie che ne ascoltano il silenzio, con tutto il mio corpo che le tenebre accarezzano.

La notte ammalia il protagonista del racconto che vaga affascinato per le strade della città sedotto dalle mille luci dei caffè concerto.
Quando però le luci dei lampioni vengono spente, egli si ritrova solo per le buie e solitarie vie di Parigi e tutto improvvisamente muta.
Egli avverte su di sé tutto il peso della solitudine e mentre passeggia lungo la Senna, sente salire il freddo glaciale dall’acqua, e capisce che non sarà mai più in grado di trovare la forza di risalire.

“La solitudine” è il tema della seconda storia. Due amici dopo un’allegra cena tra uomini, decidono di fare una passeggiata prima di tornare a casa. Complice la notte, l’uno rende partecipe l’altro dei suoi pensieri sulla sua solitudine e sulla condizione umana.
L’uomo è un essere isolato, infelice;  con l’amore si illude di poter trovare conforto in un altro essere, si aggrappa a lui con forza, ma è tutto inutile, tutto si riduce alla fine solo ad una vana illusione.
Come Flaubert scrisse ad un’amica ”Siamo tutti in un deserto. Nessuno capisce nessuno”, così il protagonista del racconto:

Ebbene, allo stesso modo l’uomo non sa cosa succede in un altro uomo. Noi siamo lontani gli uni dagli altri più di quegli astri, e più isolati, soprattutto, perché il pensiero è impenetrabile.

Ma la vita umana non è solo incomunicabilità e solitudine, ma anche infinita monotonia.

Lerac è il protagonista del terzo racconto dal titolo “Passeggiata”.
Egli è un anziano contabile, sono quarant’anni che fa lo stesso lavoro nello stesso negozio. Da quarant’anni trascorre tutte le sue giornate nello stesso stanzino buio e cupo anche in piena estate.
Una sera come tante, dopo aver chiuso il negozio, decide di fare una passeggiata. Nella sua solitudine inizia a ripercorre con la mente la sua esistenza e si rende conto con raccapriccio che la sua vita è stata un’esistenza monotona, ogni giorno uguale all’altro, senza emozioni, senza avvenimenti, senza speranze, senza amore.

E di colpo, come se un fitto velo si fosse strappato, Leras si rese conto della miseria, dell’infinita e monotona miseria della sua esistenza: la miseria passata, quella presente e quella futura; vedeva gli ultimi giorni uguali ai primi, senza niente davanti a sé, niente dietro di sé, niente attorno a sé, niente nel cuore, niente ovunque.

Lerac verrà trovato impiccato al mattino ad un ramo di un albero.

Il quarto racconto si intitola “Una serata a Parigi”. Dei sei racconti che compongono la raccolta è quello goliardico e spiritoso.
Protagonista del racconto è Savan, notaio a Vernon, appassionato di musica e amante della vita di Parigi, sempre a caccia di eventi mondani e della possibilità di conoscere personaggi famosi del mondo della letteratura, della musica e della pittura.
Un giorno riesce a farsi invitare ad una festa da un famoso pittore, ma la serata che prometteva per lui ogni sorta di gioia e delizia, si trasformerà in un’amara delusione. Invece di tornare a casa soddisfatto ed orgoglioso, Savan vi farà ritorno ferito nell’orgoglio e della dignità.

Protagonista del quinto racconto intitolato “Un’avventura parigina”, è una giovane donna, calma solo in apparenza, che trascorre le sue giornate tra le mura domestiche prendendosi cura della casa, del marito e dei figli.
La donna è un’avida lettrice di articoli di cronaca mondana e sogna incessantemente “un’avventura parigina”; poter prender parte a “quell’apoteosi di lusso magnifico e corrotto” è il suo più grande desiderio.
Ma proprio perché i sogni a volte si avverano, la donna riuscirà a coronare il suo e la sua grande occasione avrà le sembianze del famoso scrittore Varin.
Come spesso accade quando si ottiene quello che tanto a lungo si è desiderato, la delusione per la realtà avrà il sopravvento, la donna tornerà nel suo appartamento di provincia e, non appena nella sua stanza, scoppierà in singhiozzi.

Ho voluto conoscere il… il vizio… e… e insomma, non è divertente.

Chiude la raccolta il racconto intitolato “I boulevard”: una cronaca delle strade di Parigi e dei suoi abitanti, brevi frammenti di vita vissuta.

Grazie alla sua magistrale capacità di creare atmosfere, Guy De Maupassant ci regala profonde emozioni con le descrizioni della notte e della città di Parigi.
In questi racconti l’autore dimostra tutta la sua abilità nell’indagare l’animo umano porgendoci una visione tormentata e travagliata della condizione umana.
Attraverso i suoi racconti inoltre leggiamo la forte denuncia della società borghese e della cupidigia e crudeltà degli uomini.

Con questi racconti Guy De Maupassant si rivela essere un autore molto moderno, l’indagine dei malesseri dell’uomo ottocentesco che egli indaga sono infatti gli stessi dell’uomo di oggi.


  

lunedì 17 ottobre 2016

“Diario di un uomo superfluo” di Ivan Turgenev (1818 – 1883)

DIARIO DI UN UOMO SUPERFLUO
di Ivan Turgenev
IL SOLE 24 ORE
“Diario di un uomo superfluo” è un breve racconto, poco meno di un’ottantina di pagine, scritto da Ivan Turgenev nel 1850.

Protagonista della storia è il giovane Culkaturin che, consapevole di essere prossimo alla morte, decide di congedarsi dalla vita scrivendo un diario.

La scelta di scrivere di sé sotto forma di diario è una scelta profonda e introspettiva; il diario, infatti, è la forma di scrittura che più di tutte permette di parlare di se stessi in modo intimo e spontaneo.

Culkaturin nelle prime pagine racconta della sua infelice infanzia; di una madre fredda e rigida, di un padre debole, senza carattere e dedito al gioco, ma ben presto si lascia andare a ricordi più recenti e rende così partecipe il lettore dei suoi sentimenti e del suo amore non corrisposto per la bella Liza.

Culkaturin è per sua stessa definizione un uomo “superfluo”, aggettivo che il lettore non deve tradurre con inutile, ma piuttosto deve dargli un’accezione di impotente, inconsistente.
La natura lo ha trattato come “si fa con un ospite inatteso e incomodo”; per tutta la sua vita egli ha trovato costantemente il proprio posto occupato, ma egli non si indigna, non si adira per questo, piuttosto pensa che la colpa sia sua perché ha sempre cercato il posto laddove non avrebbe dovuto.

C’è stato solo un momento nella vita di Culkaturin in cui egli abbia pensato di poter essere veramente se stesso ed acquistare consistenza agli occhi del mondo, ovvero quando innamorandosi di Liza, egli crede davvero che la sua esistenza vuota e superflua possa finalmente essere riscattata.

L’intera mia esistenza venne rischiarata dall’amore, tutta tutta, fino ai particolari più insignificanti, come una stanza buia e abbandonata in cui abbiano portato la luce di una candela.

Egli potrebbe diventare qualcuno grazie all’amore di un’altra persona, potrebbe vivere negli occhi della donna amata, ma il sogno dura un battito di ali ed egli si ritrova nuovamente ai confini della sua stessa vita non appena entra sulla scena l’affascinante principe di cui la ragazza si invaghisce all’istante.

Le effusioni sentimentali sono come la radice di liquirizia: dapprima la succhi e non è male; poi, però, ti allappa la bocca.

Culkaturin è un antieroe, è colui che non riesce ad essere protagonista neppure del suo stesso diario.
E’ il simbolo delle persone che vivono ai margini della società, che non si riconoscono in essa e che la società stessa non vede, ma le attraversa con lo sguardo come se non esistessero, come se fossero trasparenti.

Il personaggio uscito dalla penna di Turgenev trova corrispondenza in tanti altri personaggi della letteratura, penso ai personaggi di Sartre, Musil, Kafka...

Culkaturin è un uomo fragile che non si sente mai all’altezza delle situazioni, un uomo stimato da nessuno e che per di più non sa neppure cosa sia l’autostima.
Egli si sente impotente e vive osservando da dietro un vetro le vite degli altri.
Lui è l’escluso, colui che è condannato a fare sempre da tappezzeria e a veder ogni volta vanificato ogni suo debole tentativo di riuscire ad ottenere un attimo di “popolarità”.

“Diario di un uomo superfluo” è un racconto struggente, inteso e ricco di pathos che commuove il lettore fin dalle sue prime pagine, un piccolo capolavoro della letteratura russa da leggere lentamente, gustandone con calma ogni singola pagina e soffermandosi ad ogni passaggio.

Addio, vita, addio, mio giardino, addio anche a voi, miei tigli! Quando l’estate giungerà, non scordate – mi raccomando -  di rivestirvi di fiori da capo a piedi…



domenica 2 ottobre 2016

“I tre moschettieri” di Alexandre Dumas (1802 – 1870)

I TRE MOSCHETTIERI
di Alexandre Dumas
CRESCERE EDIZIONI
Nato dalla penna di Alexandre Dumas (padre), “I tre moschettieri” è il primo volume di una trilogia.
I due volumi successivi “Vent’anni dopo” (1845) ed “Il visconte di Bragelonne” (1850) ebbero però meno fortuna del primo libro che ancora oggi rimane uno dei romanzi più famosi e tradotti della letteratura francese.
“I tre moschettieri” venne pubblicato a puntate nel 1844 sul giornale Le Siècle, metodo molto diffuso nell’Europa dell’epoca.
Alexandre Dumas prese spunto per la sua opera da "Mémoires de M. D'Artagnan" opera del settecento scritta da Gatien de Courtilz de Sandras, un ex moschettiere che narrava delle vicende di D’Artagnan, personaggio realmente esistito.

“I tre moschettieri” di Alexandre Dumas, ambientato nel 1625, racconta la storia del giovane guascone D’Artagnan che si reca a Parigi per entrare tra le fila dei moschettieri di re Luigi XIII.
Fin da subito il giovane dimostra tutto il suo valore, il suo coraggio e la sua irriverente irruenza scontrandosi con coloro che diventeranno presto i suoi tre inseparabili compagni: Porthos, Aramis e Athos.
Tre personalità molto diverse quelle dei moschettieri: Porthos sbruffone e spaccone; Aramis, raffinato ed elegante, un uomo di chiesa mancato; Athos introverso, freddo e bravissimo a nascondere le proprie emozioni.
La storia vede contrapposti i moschettieri di Luigi XIII, devoti al re ed alla sua consorte Anna d’Austria, alle guardie del cardinale Richelieu.
Il rapporto tra Luigi XIII con quest’ultimo è un rapporto piuttosto controverso: infatti, pur essendo molto legato al cardinale, il re ne è allo stesso intimidito, temendo fortemente l’influenza che questi esercita su di lui e sulla sua corte.
Richelieu non ama la regina, soprattutto perché imparentata con la famiglia reale spagnola, nemica della Francia.
Il cardinale, sfruttando la simpatia nata tra la regina Anna e il duca di Buckingham, ordisce una trappola per screditare la regina agli occhi di Luigi XIII.
Sarà proprio D’Artagnan, avvertito dalla donna di cui è innamorato, Costance Bonacieux, guardarobiera nonché confidente della regina, che con l’aiuto dei suoi tre amici moschettieri, riuscirà a sventare il complotto ordito dal cardinale.


“I tre moschettieri” hanno avuto una straordinaria fortuna non solo come romanzo, ma anche come adattamenti cinematografici per il piccolo e grande schermo.
Tra i più recenti adattamenti possiamo ricordare il film del 2011 in versione “fantasy” diretto da Paul W.S. Anderson e la serie televisiva (2014-2016) creata da Adrian Hodges e prodotta dalla BBC.

Perché leggere un classico così conosciuto? Personalmente avevo visto numerosi adattamenti televisivi e diversi film tratti dal romanzo di Dumas.
Quello che mi ha spinto alla lettura è stato il fatto che in ognuna di queste versioni alcuni particolari, a volte insignificanti altre volte fondamentali, venivano resi sempre in modo diverso.
In poche parole volevo una volta per tutte conoscere la “vera” trama del romanzo e soprattutto conoscere il finale ideato dall’autore.


Il volume non ha disatteso le mie aspettative, si è rivelato una lettura piacevole e scorrevole, dal ritmo incalzante.
Un bel libro che presenta tutti gli elementi tipici di un romanzo di avventura di “cappa e spada” dove duelli, intrighi, passioni sono i veri protagonisti che affiancano i vari personaggi ognuno dei quali è seducente a modo suo ed è dotato di un particolare fascino.

Un ultimo appunto sull’edizione da me scelta, ovvero l’edizione integrale edita da Crescere Edizioni. Il formato del libro è perfetto, il rapporto qualità prezzo decisamente favorevole, attenzione però agli errori di traduzione: il tatuaggio sulla spalla di Milady era un giglio.
In questa edizione si parla di un fiordaliso, errore probabilmente dovuto alla cattiva interpretazione del fleur- de-lys, forma araldica propria del giglio.

Qualunque edizione scegliate, tra le numerosissime disponibili, “I tre moschettieri” resta comunque n classico assolutamente da leggere per un milione di motivi, ma soprattutto per ritrovare quel bimbo che ama le storie di avventura e che è nascosto in ciascuno di noi.



giovedì 25 agosto 2016

“La soffiatrice di vetro” Theresa Révay

LA SOFFIATRICE DI VETRO
di Theresa Révay
SONZOGNO
“Livia Grandi ou Le souffle du destin” è il romanzo di esordio sulla scena italiana di Theresa Révay, autrice della quale nei mesi precedenti vi avevo già proposto due splendidi romanzi “Le luci bianche di Parigi” e “L’altra riva del Bosforo”.

Siamo nel 1945 e la guerra è appena terminata. Livia Grandi appartiene ad una importante famiglia di vetrai di Murano.
Livia ha il vetro e il fuoco nel sangue, dovrebbe essere lei l’erede naturale della famiglia, ma in quanto donna alla morte del nonno, il famoso Alvise Grandi, vede infrangersi il suo grande sogno, obbligata a lasciare il controllo delle vetrerie al fratello che, contrariamente a lei, non ha mai avuto la passione per il vetro e che da quando è tornato dal fronte non è più lo stesso.

Flavio Grandi ha 26 anni all’apparenza è un uomo taciturno, arrogante, invidioso e irascibile, ma tutto è una facciata, nella realtà il fratello di Livia è un uomo insicuro e fragile che non riesce a dimenticare gli orrori vissuti durante il conflitto.

In realtà il titolo del libro è fuorviante: è vero che Livia Grandi è la protagonista del libro, ma non è la sola. La sua storia è piuttosto il filo che lega le storie di tutti gli altri personaggi, anch’essi protagonisti, del romanzo.

Si potrebbe quasi affermare che l’unica e vera protagonista del libro sia l’arte millenaria di lavorare il vetro, possa essere quest’arte riconosciuta nelle vetrate della Lorena, nei vetri di Murano o nei cristalli della Boemia.

Un’altra figura di donna emerge tra le pagine del romanzo di Theresa Révay ed è quella di Hannah Wolf.
Hannah ha subito uno stupro di gruppo a seguito del quale ha dato alla luce una bambina, come gli altri sudeti è stata deportata e ha dovuto lasciare tutto ciò che possedeva, iniziare una nuova vita in un campo profughi, lei ragazza di buona famiglia cresciuta nel rispetto dei valori borghesi, si è dovuta adattare a vivere in un modo completamente a lei estraneo.

Hanna però è una donna forte e, nonostante le difficoltà, riesce a ritrovare se stessa e a conquistare il suo angolo di mondo.

La guerra ha travolto tutto e tutti, ma soprattutto le donne che sono dovute crescere in  fretta, loro che erano abituate a vivere protette tra le mura domestiche da mariti, padri, fratelli.
Gli uomini invece, che le avevano lasciate ragazzine timide e indifese, al loro ritorno non comprendono come la guerra le possa avere tanto indurite e rafforzate, loro che invece la guerra ha reso insicuri e sfiduciati.

Tre donne e i loro fratelli: Elise e François, Hannah e Andreas, Livia e Flavio. Ognuno a modo suo deve ritrovare il proprio equilibro, riappropriarsi della propria vita, elaborare il lutto e superare il trauma.

Quello che ogni volta mi stupisce di questa autrice è la sua magistrale capacità di creare personaggi reali, carichi di passione e di riuscirne ad indagarne perfettamente la psicologia facendoli crescere e mutare man mano che la storia procede.
Non sempre le scelte dei protagonisti incontrano il favore del lettore, ma proprio per questo riescono a risultare più vivi e reali, con le loro debolezze, i loro ripensamenti, i loro dubbi e le loro paure che danno ancora più forza al valore delle loro conquiste.

Theresa Révay ha eseguito inoltre come sempre un lavoro preciso e puntuale di ricerca così che la sua storia risulti completamente convincente ed i suoi personaggi siano  perfettamente inquadrati nella realtà dell’epoca.

“La soffiatrice di vetro” è un libro emozionante e coinvolgente come tutti i romanzi dell’autrice francese e per chi come me è appassionata delle sue storie, non resta che sperare che qualche casa editrice italiana decida di pubblicare presto anche le altre sue opere.





domenica 21 agosto 2016

“Terra perduta” Ann Moore

TERRA PERDUTA
di Ann Moore
SUPERBEAT

Primo romanzo di una trilogia dedicata all’Irlanda moderna e alla diaspora dei suoi abitanti, “Terra perduta” è un romanzo che parla di amore, rivolta, libertà ed oppressione.

Ann Moore sceglie gli anni Quaranta del XIX secolo come punto di partenza del suo racconto.
Alla vigilia di una lunga carestia che metterà in ginocchio l’intero paese, la popolazione irlandese ridotta allo stremo delle proprie forze dalla fame, dal tifo e dalla vessatoria politica inglese, nonostante l’amore per la propria terrà sarà costretta, suo malgrado, a lasciare il proprio paese nel tentativo di sopravvivere.

Protagonista di questo primo romanzo è Grace O’Malley, tipica bellezza irlandese dagli occhi blu e dai capelli di un rosso scurissimo, ereditati dalla madre.

La famiglia O’Malley un tempo era padrona di una vastissima tenuta nell’Irlanda del Nord, poi ai tempi di Giacomo II, ultimo sovrano cattolico in Inghilterra cadde in disgrazia e fu ridotta in povertà.

Come tutti coloro che erano appartenuti ad antiche famiglie cattoliche, ora anche gli O’Malley sono semplici affittuari di un appezzamento di terra di proprietà inglese.
La terra coltivata, per lo più a patate, dalla famiglia di Patrick O’Malley è di proprietà dei Donnelly.

In un momento tanto difficile per la sopravvivenza della famiglia, la salvezza assume le sembianze di Bram Donnelly, secondogenito di Lord Donnelly.

Squire Donnelly è stato “esiliato” dal padre nella contea di Cork a causa delle sue continue e inopportune scappatelle a Londra, già due volte vedovo nonostante abbia solo una trentina di anni, si invaghisce ad una festa della giovanissima Grace O’Malley e decide di farne la sua terza moglie.

Nonostante Grace sia segretamente innamorata, e a sua insaputa corrisposta, di un amico di infanzia, il giovane Morgan McDonagh, accetta di sposare lo squire inglese per il bene della propria famiglia.
Il matrimonio dopo un primo periodo in cui sembra poter funzionare, si rivela invece un totale fallimento.
Bram Donnelly confermerà ben presto la sua fama di uomo violento e collerico mentre l’orgoglio irlandese di Grace, oltre all’amore per la propria famiglia e per la propria terra, si scontrerà ben presto con l’arroganza e la superbia del marito che non perde occasione per calpestare la vita, indegna ai suoi occhi, degli irlandesi.

“Terra perduta” è un’opera di grande narrativa, una prosa perfetta, un romanzo che conquista.
Forse un po’ faticosa la lettura delle prime pagine, ma una volta entrati nel pieno della storia la lettura diventa scorrevole e si è completamente conquistati dalla narrazione e dai suoi affascinanti personaggi.

Grace O’Malley è indubbiamente l’eroina del romanzo che con la sua forza, la sua grazia, la sua tenacia e la sua bontà, riesce a sconfiggere la miseria, la vigliaccheria e la cattiveria del marito Bram Donnelly.
Ogni personaggio fa rivivere attraverso la propria storia quell’antico mondo irlandese popolato di fate e folletti, il mondo di un popolo orgoglioso del suo passato, della sua terra e delle sue origini. Un mondo intriso di magia tenuto in vita dalle ballate e dai canti della sua gente.

Patrick O’Malley vive per i suoi figli e la sua terra, così come Nonna, altro ben riuscito personaggio, che con la sua esperienza riesce a tenere unita la famiglia, lei che tutto vede e sa grazie all’antica saggezza.

I due personaggi maschili a cui Grace è oltremodo legata sono il fratello Sean e l’amico Morgan.

Sean nonostante i problemi fisici a seguito dell’incidente nel quale aveva perso la vita la madre e il cui racconto apre il romanzo, è dotato di una grande forza interiore, è intelligente e scaltro.
Morgan invece è forte, protettivo e coraggioso; devoto a Sean, è innamorato da sempre di Grace.

Quello descritto da Ann Moore è un mondo ancestrale, un mondo dove tutti si conoscono e si danno una mano, un mondo che rappresenta ormai la fine di un’epoca per un popolo, quello irlandese, fiero delle proprie tradizioni, disposto a sacrificare la vita per la propria terra e per tutti gli irlandesi.

Credo che Cathy Cash Spellman parlando di questo libro sul New York Times abbia colto in pieno lo spirito del romanzo: Se amate il suono gioioso delle risate irlandesi e il fiume di lacrime da cui spesso sgorga, Terra perduta vi colpirà dritto al cuore.




martedì 2 agosto 2016

“Amy Snow” di Tracy Rees

AMY SNOW
di Tracy Rees
NERI POZZA
Gennaio 1831. Aurelia Vennaway, figlia unica di Lord Charles e Lady Celestina Vennaway, una delle famiglie più in vista della contea dello Hertfordshire, trova ai margini della foresta una neonata abbandonata nella neve.

Nonostante i genitori si oppongano con fermezza alla decisione della figlia di fare crescere la neonata ad Hatville Court, Aurelia con la sua caparbietà riesce ad ottenere il permesso dei genitori.
La bimba decide di chiamare la trovatella Amy Snow: Amy come la sua bambola preferita e Snow ovviamente perché ritrovata nella neve.

La madre di Aurelia cerca in tutti i modi di tenere Amy distante dalla figlia, ma senza risultato, in quanto niente e nessuno sembra essere abbastanza forte da riuscire a tenere le bambine lontana l’una dall’altra evitando che crescano insieme come due inseparabili sorelle.

La storia del romanzo inizia nel gennaio 1848. Amy è prossima a lasciare Hatville Court dopo la prematura morte di Aurelia, avvenuta alla giovane età di soli 25 anni, a seguito di una malattia cardiaca.

Aurelia ha lasciato ad Amy una somma di appena 100 sterline o almeno ciò è quello che tutti credono alla lettura del testamento, ma la giovane ha lasciato molto di più all’amica del cuore.

Per entrare in possesso della cospicua eredità e conoscere i segreti di Aurelia, Amy Snow però dovrà lasciare quella casa a lei ostile, ma pur sempre l’unica che abbia mai conosciuto, ed addentrarsi nel vasto mondo a lei ignoto.
Come unica guida avrà le lettere che l’amica le ha lasciato e che la condurranno lungo un difficile ed impegnativo cammino, scandito dalle tappe della caccia al tesoro che, per un’ultima volta, l’amica ha predisposto per lei, così come era solita fare quando era bambina.

Il viaggio di Amy Snow inizia a Londra e da lì la ragazza raggiungerà diverse città dell’Inghilterra in ognuna delle quali farà la conoscenza di persone di ogni tipo.
Aurelia ha messo in guardia Amy sul fatto di dover stare molto attenta a non farsi rintracciare dai suoi genitori onde evitare di dover restituire il cospicuo lascito.
E se all’inizio la paura di essere scoperta sarà legata al timore di dover difendere l’eredità dalle mani dei vendicativi Vennaway, ben presto Amy comprenderà che in gioco c’è molto di più di questo perché l’amica le ha celato un grande segreto che solo ora, dopo la sua morte, intende rivelarle.

Tracy Rees riesce a coinvolgere il lettore fin dalle prime pagine. La storia è avvincente ed i personaggi sono affascinanti.

Attraverso le pagine di questo libro rinasce il romanzo vittoriano.
Numerosi sono gli accenni a Charles Dickens, tra l’altro autore preferito dalle eroine del libro, che influenza non solo le aspettative di Amy sulla città di Londra, ma si ritrova nelle atmosfere, nei diversi personaggi e persino nella descrizione delle case.

“Amy Snow” ha però molto in comune anche con i romanzi austeniani: i due protagonisti maschili Garland e Henry potrebbero benissimo essere usciti dalla penna di Jane Austen così come le descrizioni caustiche e sferzanti dell’alta società inglese dell’epoca.

L’affresco storico che ne risulta è perfetto, l’autrice si è ben documentata e traspare in ogni riga quanto questo periodo sia da lei amato; ritroviamo nel romanzo della Rees tutti i temi cari al romanzo vittoriano: la ferrovia, i riferimenti all’industrializzazione del nord, la società di Bath, la filantropia...solo per citarne alcuni.

Ogni personaggio meriterebbe una menzione particolare, ma non essendo questo possibile, lascio al lettore il piacere di scoprire la bella galleria che l’autrice è riuscita a regalarci.

Mi concentrerò solo sui quattro personaggi principali: Amy, la vera protagonista, Aurelia la cooprotagonista la cui storia viene raccontata attraverso le lettere inviate all’amica nonché dalla voce del ricordo dell’amica stessa, il signor Garland e Henry Mead.

Aurelia ed Amy sono due donne molto forti e coraggiose, più scapestrata ed appassionata la prima, più riflessiva e attenta la seconda.
Amy è cresciuta all’ombra di Aurelia e quando deve prendere in mano la sua vita e affrontare il mondo a lei sconosciuto ha indubbiamente paura, ma è anche abbastanza forte nella sua insicurezza per tirare fuori la grinta e le capacità necessarie per superare ogni ostacolo.

Il romanzo della Rees può essere definito un romanzo di formazione proprio come quelli dickensiani in cui l’eroe/l’eroina nel suo percorso crescono e raggiungono la piena maturità.

I due uomini inducono non poco in difficoltà il lettore.

Il signor Garland è educato, raffinato ed elegante. Uno che ha l’aria che neppure il vento potrebbe spettinare e i cui abiti nemmeno la volontà divina sarebbe in grado di stazzonare.

Anche il signor Henry Mead è affascinante seppur in maniera diversa. È cordiale, franco e allegro. Sta cerando di trovare la sua strada e, come ogni giovane, è assediato dalle incertezze e dalle delusioni dei mortali.

Chi dei due però è colui che davvero non nasconde inganni? E se entrambi non fossero ciò che sembrano? Le domande assillano il lettore fino alle pagine conclusive del romanzo.

Ciò che incanta più di ogni altra cosa in questo libro è che nulla può essere dato per scontato, e se vero che forse ad un certo punto si intuisce quale sia il segreto di Aurelia, fino all’ultimo non si ha mai alcuna certezza sui reali sentimenti e intenzioni dei due pretendenti di Amy.

“Amy Snow” è un romanzo assolutamente da leggere consigliato a tutti gli appassionati del romanzo vittoriano e ai lettori che hanno ormai consumato le pagine dei libri di Jane Austen in loro possesso, agli amanti del romanzo storico, agli appassionati della vecchia Inghilterra…

Un romanzo da leggere tutto d’un fiato che ci riporta indietro nel tempo e che ha la capacità di farci sognare come solo i grandi classici hanno saputo fare.







mercoledì 27 luglio 2016

“Il mondo dell’altrove” di Sabrina Biancu

IL MONDO DELL’ALTROVE
di Sabrina Biancu
DEL BUCCHIA
“Il mondo dell’altrove” è una raccolta i cinque brevi racconti che trasportano il lettore in un mondo fantastico, un luogo magico.

Il prologo ci rimanda subito ad un grande capolavoro della letteratura per ragazzi ovvero “Il piccolo principe” di Antoine de Saint-Exupéry e, proprio come questo splendido libro, i racconti di Sabrina Biancu affrontano importanti tematiche quali il senso della vita ed il valore dell’amore e dell’amicizia.

Sin dalle prime pagine, l’autrice pone al lettore l’eterno ed annoso quesito sul perché mai diventare adulti dovrebbe significare per forza perdere la capacità di sognare.
Sabrina Biancu risponde alla domanda attraverso le storie di Elia, di Rosy, di Tea, di Desideria e di Irina la stellina.

Cinque magici racconti che accompagnano il lettore adulto in un viaggio fantastico alla riscoperta di sé stesso e dei valori veri della vita ed allo stesso tempo affiancano il lettore adolescente aiutandolo a crescere e a maturare.
“Il mondo dell’altrove” potrebbe essere quindi definito “il libro per tutte le stagioni”.

Questi i titoli dei cinque racconti:

-       Il ristorante della speranza
-       Rosy e l’anatroccolo
-       La rosa bianca
-       Lo spirito della fonte
-       La piccola stellina

Non scrivo nulla della trama perché trattandosi di racconti molto brevi rovinerei il piacere della lettura anticipando inevitabilmente parti significative che è giusto che il lettore scopra da solo.

Ho pensato però che potrebbe essere interessante proporvi una piccola intervista all’autrice, che devo ringraziare per aver accettato di essere ospite sul mio blog.
Chi meglio di lei infatti potrebbe presentare la sua opera?

Sabrina Biancu, classe 1981, è nata ad Oristano e vive a Baressa. Frequenta il corso di laurea in Scienze dell’educazione e della formazione. Ama i bambini, gli animali ed i libri.
Al suo attivo ha una raccolta di racconti dal titolo “Luce azzurra” (2009).


Il titolo “Il mondo dell’altrove” richiama alla mente la favola di Fantaghirò, così come il nome Desideria, protagonista del quarto racconto ricorda un’altra celebre serie TV. Quanto ti hanno ispirato questi racconti? Ci sono storie particolari che ti hanno ispirata?

Questa domanda mi riporta alla mente bellissimi ricordi, quando da ragazzina aspettavo il natale per vedere queste belle favole dove mi è sempre piaciuto rifugiarmi.
Sono sempre stata un’inguaribile sognatrice che ha usato la fantasia, anche perché ho vissuto dei momenti di solitudine a scuola, alle elementari e medie, perciò tenere viva la mente mi ha aiutato a non cadere nello sconforto.
Fantaghirò non ha influito in questi racconti, ma la quarta storia in piccola parte è stata influenzata da Sorellina e il principe del sogno, mi piaceva l’idea che una fonte magica potesse aiutare dei giovani innamorati, quindi la ricorda solo per questo.
Il resto è interamente frutto della mia fantasia, anche se posso dire che le letture e i film dell’infanzia ispirano molto i miei racconti, perché in buona parte non voglio crescere, e non voglio dimenticare di tenere accesa la creatività nonostante i miei 34 anni.

Nel primo racconto “Il ristorante della speranza” scrivi: “Attiri a te ciò che ti serve e l’universo di ascolta”. Credi alla legge dell’attrazione? Quanto secondo te il nostro atteggiamento influisce su ciò che ci succede?

Sei l’unica, o una delle poche che ha notato il chiaro riferimento alla legge dell’attrazione. Sì, credo ciecamente alla legge dell’attrazione, l’ho scoperta per caso e ho provato subito a metterla in pratica e devo dire che ha funzionato, perciò tutt’oggi continuo a usarla.
Se devo essere sincera la sto usando anche per la mia carriera da scrittrice e mi sta aiutando, non solo, la metto in pratica anche per aiutare gli altri e sono felicissima dei risultati, unita all’amore e alla gratitudine è una forza potente.
Se tutti provassero a usarla sono convinta che vivrebbero più felici.

Nei tuoi racconti si parla molto del difficile rapporto genitori-figli: il padre di Nico che vuole imporre le proprie scelte al figlio, il padre di Pietro che al contrario cerca di non imporre regole, ma cerca invece il dialogo, i genitori di Rosy in crisi davanti ai continui capricci della figlia. Quanto è difficile essere genitori oggi?

Questo è un argomento che mi sta molto a cuore. Io lavoro con i bambini, faccio l’animatrice e spesso mi sono ritrovata a chiedere cosa sia cambiato oggi rispetto a quando io ero bambina, e mi sono ritrovata a fare un confronto.
Io provengo da una situazione in cui mio padre era allevatore e mia madre casalinga con quattro figli a carico, quindi non semplice, dove spesso non avevo tutto quello che volevo perché non potevano permetterselo, nonostante ciò sono stata una bambina felice e col senno di poi sono contenta di come sono stata cresciuta anche perché non mi mancava niente.
Oggi invece vedo che il consumismo è maggiore rispetto alle reali esigenze, e credo che sia più difficile fare i genitori cercando di essere all’altezza dei tempi, con bambini che vogliono avere le scarpe di marca e l’ultimo telefonino perché lo hanno tutti altrimenti vengono scartati dai loro coetanei. Forse qualche no in più non farebbe male, in fondo le nuove generazioni dovranno prima o poi imparare a cavarsela con i loro mezzi.

I tuoi racconti parlano di sentimenti: amore, amicizia, solidarietà…. Parlano dell’importanza di essere sempre se stessi e della necessità di tenere a distanza le persone che vogliono solo manipolarci. Insegnano l’importanza della bellezza interiore che troppo spesso viene messa in ombra da quella esteriore…

Ho scritto questo libro pensando alle mie esperienze passate, e volendo comunicare un messaggio. A volte si è talmente occupati a vedere le cose con gli occhi che non si ascolta più con il cuore; sembra che l’esteriorità abbia preso il posto dell'interiorità, eppure spesso chi non si espone è chi ha più bisogno.
Con il mio libro ho voluto dare voce a chi non viene ascoltato, ci tenevo a sottolineare che se diamo una possibilità a ciascuno di dire la sua, può darci più di quanto ci potremmo immaginare.
  
Il tuo libro può sembrare in primo momento un libro dedicato agli adolescenti, può essere sotto questo aspetto considerato uno strumento per aiutarli a crescere, a maturare. Ma leggendo i racconti ci si rende conto, quasi immediatamente, che questi possono tranquillamente essere un valido aiuto anche per gli adulti che si sono persi e devono ritrovare la capacità di sognare e credere…

Bella parola credere, credere per vedere e non il contrario. Aiuta a sperare in un futuro possibile e non smettere di sognare, e se la fiducia è tanta rimarremo soddisfatti di ciò che vorremmo si realizzasse.
Sì, ci hai preso in pieno, questo libro è dedicato agli adulti che si sono persi, che hanno perso la capacità di sognare, perché pensano che diventare grandi non implica lasciarsi andare a queste cose.
Ma i sogni sono fondamentali, chi smette di farlo si perde e si lascia travolgere dagli eventi, pensando di non avere controllo sulla propria vita, invece è il contrario.
I sognatori sono persone felici, che vivono appieno ogni momento e sanno che il futuro gli riserverà qualcosa di bello, perché se lo creeranno esattamente come lo hanno sempre immaginato.

Grazie di cuore Sabrina e in bocca al lupo per la tua carriera!